La questione chiave non è se l’operazione della Turchia a Idlib eliminerà i gruppi islamisti, ma se Ankara li giudicherà proxy utili per la guerra all’espansione kurda. L’ex al Nusra e l’Esercito Libero Siriano possono essere mobilitati per sostenere la lotta all’autonomia di Rojava
di Samer Abboud – Middle East Eye
Roma, 11 ottobre 2017, Nena News – L’impensabile è successo questa settimana. Il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin e fatto uscire una dichiarazione congiunta che promette sostegno all’integrità territoriale della Siria e la salvaguardia delle istituzioni statali.
Che i due potessero incontrarsi – e addirittura discutere di cooperazione in Siria – era inimmaginabile fino a pochi mesi fa. Questa, però, è la traiettoria del conflitto siriano. Dopo che l’intervento della Russia nella guerra in Siria ha spostato completamente l’equilibrio militare a favore delle forze pro-regime, gli attori regionali sono stati costretti ad adattarsi alla nuova realtà e al processo creato ad Astana per una de-escalation del conflitto – sebbene non si tratti di un accordo di pace.
L’Arabia Saudita non è la sola ad adattarsi. La Turchia, che prima era la più appassionata sostenitrice delle varie fazioni dell’opposizione armata e politica, si è posizionata al fianco di Russia e Iran come uno dei garanti del futuro post-bellico della Siria.
Il futuro dei gruppi armati
I piani dell’accordo tripartito sul futuro della Siria sono oggi in fase di implementazione. Idlib, l’ultimo grande bastione sotto il controllo dei gruppi armati ribelli, è finita nel mirino della Turchia al fine di ripulirla dai miliziani e di implementare la zona di de-escalation.
Con l’obiettivo ufficiale di impedire la creazione di un “corridoio terrorista” al suo confine, la Turchia ha avviato un’operazione militare a Idlib e adottato la politica del “Russia fuori, Turchia dentro”, che prevede l’assunzione del controllo di Idlib. Lunedì l’intervento nella provincia è cominciato con il fuoco turco a coprire l’avanzata dell’Esercito Libero Siriano (Els) contro i gruppi armati.
Una delle questioni centrali è cosa significhi questo per il futuro di quei gruppi, in particolare per gli islamisti rappresentati da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), il successore del Fronte al-Nusra. L’intervento turco per la creazione di una zona di de-escalation a Idlib sarà la campana a morto finale per l’opposizione armata islamista?
È improbabile perché la presenza di elementi armati, in particolare Hts e le restanti brigate dell’Els, legate alla Turchia, possono essere mobilitati per sostenere le politiche turche contro i piani kurdi di creazione di un territorio contiguo nella speranza di una futura autonomia o indipendenza dalla Siria.
Se l’obiettivo è la de-escalation, si presuppone la presenza continuativa dei gruppi armati nel paese. Quello a cui probabilmente assisteremo nelle settimane a venire sarà una degradazione seria della potenza di Hts e Els e la cacciata dei gruppi armati kurdi da Afrin, il cantone kurda nella provincia di Idlib. Questo, non Tahrir al-Sham, è il piano centrale della Turchia.
I civili siriani, intrappolati nel mezzo di questo conflitto intestino da anni, con queste operazioni saranno ancora vittime di violenza, bombardamenti e sfollamento.
La questione kurda
I calcoli della Turchia in Siria vanno per lo più, se non del tutto, guardati attraverso le lenti della questione kurda. Esiste un accordo con il regime e i suoi alleati per cui il progetto di Rojava non si tradurrà in uno Stato indipendente né in una porzione potente e decentralizzata all’interno di un’entità siriana debole. Appena l’anno scorso, la Turchia ha mobilitato l’Esercito Libero Siriano per impedire alle Unità di protezione popolare, le Ypg, e allo Stato Islamico di avvicinarsi ai suoi confini.
Oggi le unità dell’Els hanno circondato Afrin, l’enclave kurda nella provincia di Idlib, e stanno avanzando con il sostegno militare turco contro i gruppi kurdi. Pubblicamente il governo turco afferma che il suo intervento per ripulire Idlib e creare la zona di de-escalation sarà guidato dall’Els come forza sul terreno e sostenuto con aviazione, logistica, rifornimenti e intelligence turchi.
L’Els, da tempo irrilevante e incapace di vincere sulle forze del regime, è stato reso efficace solo come proxy della Turchia.
Ogni degradazione militare dei suoi vecchi alleati in Siria, dunque, comprometterebbe l’obiettivo turco di fermare l’espansione e l’autonomia kurde in Siria. La questione chiave non è se l’operazione di Idlib eliminerà i gruppi islamisti una volta per tutte, ma se la Turchia, che ne è stato prima sostenitrice, li giudicherà proxy utili per la guerra all’espansione kurda. Alla Turchia potrà bastare l’Els? La risposta determinerà fino a che punto l’operazione a Idlib indebolirà Tahrir al-Sham.
Il dilemma della Turchia
Cosa questa operazione significa per l’opposizione armata è una questione che va intesa all’interno dell’attuale dilemma della Turchia in Siria.
Da una parte, la Turchia è legata al processo di Astana e si è allineata – e ha allineato la sua visione – a Russia, Iran e governo siriano. Come garante dell’accordo, la Turchia si è impegnata a estendere le zone di de-escalation nel paese come strumento di riduzione della violenza anche in aree, come Idlib, che una volta erano per lo più sotto la sua influenza.
Dall’altra, la Turchia non può – o non vuole – ingaggiare azioni militari da sola per impedire l’espansione kurda. L’autonomia kurda in Siria è molto più pericolosa per gli interessi turchi della permanenza al potere del regime siriano. Qui sta la convergenza delle visioni dei tre attori per la Siria: una riduzione della violenza che faccia il paio con il blocco delle spinte kurde all’autonomia. Ciò richiede concessioni da tutte le parti, compreso l’abbandono da parte della Turchia degli ex alleati, come Hts.
La sfida è dunque rendere Hts abbastanza invisibile da soddisfare gli altri due partner mantenendo però la capacità di attivare elementi armati contro l’espansione kurda. Un equilibrio quasi impossibile da realizzare.
Nuova realtà
Non stiamo assistendo alla fine dei gruppi islamisti ma alla loro trasformazione e riorganizzazione in accordo con le nuove realtà siriane. L’obiettivo realistico per i gruppi armati non è più far cadere il regime. Per rimanere rilevanti, devono adattarsi e arrendersi agli scopi strategici dei loro padroni. Resterà da vedere se Hts e i suoi elementi vorranno farlo o meno.
I gruppi armati in Siria hanno dimostrato di essere sufficientemente adattabili al contesto bellico. Non sono certamente potenti come erano prima, ma probabilmente resteranno presenti per anni. Il vero significato di zona di de-escalation, che la Turchia tenta di implementare a Idlib, è un’ammissione di questa realtà.
Samer Abboud è professore associato di Studi internazionali all’Arcadeia University. È attualmente studente distaccato al Centro Studi arabi e islamici dell’Università di Villanova.
Traduzione a cura della redazione