Brillante, geniale, provocatorio e, a volte, contraddittorio, il cantante appartiene ad una nuova generazione di musicisti arabi il cui interesse sociale e politico trascende i localismi ed i confini regionali. VIDEO
di Paolo Lasagna – Arab Tunes
Roma, 15 novembre 2014, Nena News – Da che mondo è mondo ogni paese ed ogni stagione musicale ha avuto il suo eroe dannato, il cantante/musicista oltraggioso ed irriverente, agnello sacrificale e capro espiatorio che si fa carico di ogni degenerazione e perversione che attraversa la società in cui opera.
La giovane scena rock palestinese non difetta in questo campo producendo un valido candidato al ruolo di artista rock maledetto. Il suo nome è Jowan Safadi, un arabo israeliano nato nella città di Nazareth nel 1973, che con le sue liriche oltraggiose ed il suo atteggiamento irriverente ha alimentato il gusto censorio sia della società borghese israeliana sia di quella tradizionalista araba.
Il rapporto di Jowan Safadi con la musica non inizia in Palestina, bensì in India. Durante un viaggio attraverso le montagne della catena Himalayana decide di trasformare la sue poesia ed i suoi pensieri in canzoni. Compra una chitarra e prova ad esercitarsi da autodidatta senza molto successo. Si ritrova in una situazione complessa, uno zaino pesante ed una chitarra che non riesce a suonare. Decide cosi di sbarazzarsi dello strumento prima di far ritorno in Palestina.
Al suo ritorno in patria decide di fare un novo tentativo ed acquista un’altra chitarra: “È stato il dono che ho fatto a me stesso per il mio 21° compleanno”, ricorda.
Più compiutamente l’avventura musicale di Jowan Safadi comincia agli inizi degli anni 2000 dopo il suo trasferimento da Nazareth nella cittadina di Bir al-Sabah (Beersheba). In compagnia di alcuni amici israeliani anti-sionisti e refusenik (termine che indica i giovani israeliani che rifiutano il servizio di leva) dà vita al gruppo indie rock “Lenses”, forse il primo (e unico) gruppo rock arabo-ebraico in Medio Oriente. Riguardo la genesi del gruppo, dice Jowan: “I partecipanti al progetto dovevano solo essere abbastanza aperti mentalmente per intraprendere questa esperienza insieme a me. Comunque, non ho mai percepito i miei compagni come israeliani. Erano di sinistra e possedevano un elevato livello di consapevolezza politica. Si sono rifiutati di servire nelle forze armate e aborrivano l’occupazione”.
La musica prodotta dal gruppo rappresenta qualcosa di veramente nuovo per il panorama musicale mediorientale. Al di là della composizione etnica della band la sfida dei Lenses è (in un primo momento) di natura prevalentemente musicale. Un ibrido indie rock che unisce il punk, la sperimentazione ed il Lo-fi con la musica araba. Guidata da Jowan Safadi, che del gruppo è stato cantante, autore e chitarrista , la band realizza nel corso di otto anni tre album in studio. Si può affermare che la maturazione e l’evoluzione musicale del progetto è andata di pari passo con la crescita in consapevolezza dei suoi componenti. Infatti dopo un primo album cantato in lingua inglese costituito da brani dal contenuto prevalentemente intimista, i successivi lavori si orientano verso temi sociali e politici e le canzoni vengono interpretate adottando l’idioma arabo.
[…] Nel 2007 dopo la realizzazione dell’album “Ahlan Byebye”, Jowan Safadi decide di sciogliere il gruppo. Le ragioni della scelta sono molteplici: “[…] Dopo la seconda Intifada, sono diventato molto più politicizzato. Volevo tornare alle mie radici e alla cultura araba. Data la situazione politica, non avevo più il privilegio di non scegliere da che parte stare. La sanguinosa invasione israeliana di Jenin ha rappresentato l’inizio di un risveglio che ha permesso di ristabilire la realtà nella mia testa”.
Finita l’esperienza con i Lenses Jowan lascia Bir al-Sabah per trasferirsi a Haifa dove collabora con varie band composte da soli musicisti palestinesi. Continua a comporre canzoni dal forte contenuto critico. Le sue armi favorite sono l’ironia ed il sarcasmo, i temi affrontanti riguardano il razzismo, la condizione dei rifugiati e dei prigionieri politici (ovvero la vita quotidiana sotto l’occupazione), la corruzione politica, l’ipocrisia della religione e ,tabù dei tabù, il sesso in tutte le sue varianti di genere.
La sfida lanciata da questo musicista palestinese non si limita al campo squisitamente politico ma investe la società mediorientale nella sua totalità, attaccando tanto il sionismo quanto le dinamiche oscurantiste della società araba. L’occupazione israeliana e la condizione della popolazione palestinese sono solo una goccia nel mare delle immense storture che soffocano l’individuo. […]
Nel 2011 il suo lavoro viene portato agli onori della cronaca dal parlamentare Aryeh Eldad , appartenente ad un partito di destra israeliano, il quale apre un procedimento presso la Knesset a carico di Jowan Safadi accusato di “incitamento alla violenza e al terrorismo”. Il procedimento viene avviato e chiuso nel giro di due mesi per mancanza di prove, ma il fatto da bene il senso di quanto disturbante possa essere l’opera del musicista.
Nel febbraio del 2012 vede la luce il primo disco solista di Jowan. Il nuovo lavoro viene intitolato “Namrud”, parola araba che significa “provocatore”. Salutato come controverso e creativo, autoprodotto e autofinanziato, “Numrud” è, secondo le parole dell’autore, “un album musicale difficile da definire o descrivere, dal momento che combina temi politici, sociali, filosofici e romantici […]”.
Accompagnato da un band chiamata “Fish Samak” (pesce, ripetuto in inglese ed arabo), Jowan Safadi comincia un tour in varie città arabe per presentare la sua nuova fatica. I problemi non tardano a presentarsi. Il 30 novembre del 2012, dopo la prima delle due date previste ad Amman in Giordania, il cantante viene arrestato dalle forze di polizia giordane e trattenuto presso il commissariato di polizia di Abdali per essere poi imprigionato a Jowayda. L’accusa imputatagli è stata di “offesa alla religione” a causa dei testi di alcune sue canzoni. Una in particolare, “Ya Haram al-Kuffar ” (Poveri infedeli) ha molto irritato la sensibilità dei credenti. ” Il concerto è stato davvero buono – dice il musicista – Il dopo show non tanto”.
Appena si diffonde la notizia del suo arresto parte una campagna su internet tesa alla liberazione dell’artista. Fuori dalla prigione si affollano numerosi sia i sostenitori sia i detrattori del musicista. […] La combinazione tra il sostegno popolare e la pressione esercitata dagli avvocati fa sì che Jowan sia rilasciato dopo due notti passate in prigione. Espulso dalla Giordania e rimpatriato il giorno stesso deve promettere alle autorità di non cantare più canzoni che possano offendere la sensibilità dei musulmani.
[…] Jowan non si fa scoraggiare dagli eventi e si dedica assiduamente al lavoro, consolidando il rapporto con la band Fish Samak. La sfida più che politica diventa prevalentemente musicale. Ovviamente le tematiche dei nuovi pezzi realizzati con il gruppo interessano sempre il campo sociale e politico ma una particolare attenzione viene rivolta alla musica mai come ora contaminata con il rock occidentale. “I Fish Samak sono una band che suona Free Rock arabo direttamente dalle profondità del Mar Morto”, dice Jowan. “Le nostre influenze musicali includono Beatles, Doors , Pixies, Nirvana, Black Sabbath e Pink Floyd , ma anche Sheikh Imam e il folklore palestinese”.
[…] Brillante, geniale, provocatorio e, a volte, contraddittorio, Jowan Safadi appartiene in realtà ad una nuova generazione di musicisti arabi il cui interesse sociale e politico trascende i localismi ed i confini regionali. Pur denunciando opprimenti realtà politiche a lui vicine, l’occupazione israeliana in primis, questo Kurt Cobain arabo porta avanti un discorso legato al risveglio delle coscienze e alla libertà di pensiero e di espressione comune a quello di altri musicisti arabi presenti nella regione. […]
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