Il Cremlino smentisce le voci di un dispiegamento di truppe in Egitto al confine libico. Sostegno ad Haftar ma anche ad al-Sarraj: Putin vuole stabilità per posizionarsi in Nord Africa
di Chiara Cruciati
Roma, 15 marzo 2017, Nena News – Il generale Khalifa Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, braccio armato del parlamento ribelle di Tobruk, ieri ha annunciato la ripresa dei porti della Mezzaluna petrolifera. Ras Lanuf e Es-Sidre sarebbero tornati in mano agli uomini del generale, dopo essere stati occupati la scorsa settimana dalle Brigate di Difesa di Bengasi, milizia vicina ad al Qaeda cacciata dal capoluogo della Cirenaica dalla crociata anti-islamista di Haftar.
Foto online, riportano quotidiani libici, mostrerebbero i soldati di Haftar festeggiare in uno dei terminal, forse Ras Lanuf. La vittoria è stata segnata dopo giorni di una battaglia intensa: il generale ha dovuto ordinare ripetuti bombardamenti aerei per vincere la resistenza dei miliziani che dal 3 marzo stazionano nei terminal petroliferi, senza però bloccare il traffico, garantito dalla National Oil Company.
Lo scontro è solo l’ultimo di tanti esempi di completa instabilità del paese nordafricano: mentre nella Mezzaluna si combatteva, a Tripoli erano scontri a fuoco per le strade a tenere in ostaggio la popolazione. Sono esplosi due giorni fa, ormai consuetudine nella capitale, tra le forze fedeli al governo di unità nazionale del premier al-Sarraj (Gna) e milizie rivali che tentano di mantenere il controllo su quartieri della città. Secondo fonti locali, sarebbero almeno due i morti.
Nelle stesse ore a Bengasi riprendeva la caccia al qaedista da parte dell’esercito di Haftar che non ha ancora eliminato tutte le sacche jihadiste dalla città. In un simile contesto di guerra permanente e capillare l’instabilità è accesa dagli attori esterni tra scambi di accuse e smentite. Con gli Stati Uniti che ormai di Libia non parlano più e l’Europa divisa, gli ultimi mesi hanno visto la forte presa di posizione russa, figlia di un più generale riposizionamento di Mosca tra Nord Africa e Medio Oriente.
Ieri fonti anonime statunitensi riportavano del dispiegamento di 22 soldati delle unità speciali russe in territorio egiziano, a 100 chilometri di distanza dal confine con la Libia. Militari pronti, dicevano le fonti, ad entrare nel campo di battaglia libico al fianco del parlamento di Tobruk e del suo generale. Subito dopo è giunta la smentita di Mosca: notizie false, ha detto il Ministero della Difesa, diffuse “dalla macchina del fango di alcuni media occidentali”.
È intervenuto anche Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, intenzionato a chiarire la posizione russa in merito al caos libico: la Russia intende – è ormai chiaro – mostrarsi come la mediatrice internazionale della crisi e non come la sua incendiaria. Seguendo lo schema della guerra siriana (dove Mosca è entrata con vigore, con un intervento militare che due anni dopo l’ha portata a guidare il fronte internazionale del negoziato), il presidente Putin punta alla stabilizzazione dei paesi che possono garantirgli di fare ingresso nel Mediterraneo, sul piano militar-strategico e quello commerciale.
“Sapete che ci sono contatti in corso – ha detto Peskov alla stampa – La Russia è interessata alla stabilizzazione della Libia in un modo o nell’altro, così che le sue autorità siano in grado di garantire che il territorio non diventi terreno fertile per i terroristi. Un intervento eccessivo della Russia negli affari libici è difficilmente possibile e per nulla consigliabile”.
Le autorità di cui parla il Cremlino sono facilmente individuabili: il generale Haftar, sì, ma anche il premier al-Sarraj. A chi dava per scontato il sostegno russo a Tobruk alle spese di Tripoli (e tra questi andrebbe annoverato lo stesso Haftar) si deve ricredere. Nelle ultime settimane Mosca ha visto sia il generale – invitato a Mosca e poi sulla portaerei Kuznetzov – che al-Sarraj, anche lui volato nella capitale russa.
L’idea dietro questi meeting è palese: dare legittimità al governo di unità voluto dall’Onu ma tuttora debolissimo, facendoci entrare il capo dell’esercito della ribelle Tobruk. Non è un caso che ad oggi, almeno in via ufficiale, Mosca non abbia inviato ad Haftar il sostegno militare che sembrava già pronto, ma si sarebbe limitata a mandare in Cirenaica esperti dell’Aeronautica per riparare vecchi Mig dell’epoca Gheddafi. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati