Dopo due settimane la protesta si fa meno pressante, ma le promesse del presidente Aoun e la posizione di Hezbollah non rispondono alle istanze della piazza
di Roberto Renino
Beirut, 2 novembre 2019, Nena News – Selim sta disegnando una bicicletta. I pannelli di recinzione di un cantiere sulla strada che porta a Riad el Solh sono la sua tela e il suo pubblico sono le persone che affollano uno dei punti centrali della protesta delle ultime due settimane. Qualcuno il giorno prima gliel’ha rubata durante quello che forse è stato uno dei pochi momenti di tensione di una rivolta dai toni generalmente pacifici.
Un centinaio di persone ha fatto irruzione nella Piazza dei Martiri, epicentro della protesta, distruggendo tutti i gazebo allestiti dalla società civile, luoghi di incontro e discussione. Insieme ai capanni, anche alcuni dei presenti sono stati attaccati e derubati. Gli assalitori, che hanno agito inneggiando il nome di Nabih Berri, presidente del parlamento e del partito sciita Amal, sono stati dispersi dalle forze di sicurezza che sono intervenute con ritardo, solo dopo il compimento dell’attacco.
L’irruzione nella piazza è arrivata in un momento critico, poco prima delle dimissioni del primo ministro Saad Hariri, presentate al palazzo presidenziale di Baabda lo stesso pomeriggio, in uno dei giorni più tesi della protesta. Nella stessa giornata di martedì 29 ottobre, sono stati registrati scontri diffusi in varie località a causa dei blocchi stradali che hanno paralizzato il paese.
In Libano, dove l’infrastruttura stradale è ridotta e fatiscente, anche la minima interruzione di un’arteria principale apporta un danno significativo alla viabilità, aggravato dalla totale assenza di servizi di trasporto pubblici di sorta. I blocchi stradali sono quindi presto diventati materia di discordia tra i cittadini stessi, a prescindere dal supporto verso la thawra, la rivoluzione.
I momenti di tensione si sono verificati più che tra forze di sicurezza e manifestanti, tra cittadini che insistevano nel passare o nel rimuovere i blocchi e coloro che insistevano per mantenerli. Ciononostante, in seguito dell’attacco alla piazza e alle dimissioni del primo ministro, è iniziata una nuova fase: il numero delle persone in piazza è drasticamente diminuito mentre è aumentata la presenza delle forze di sicurezza, che hanno transennato tutti gli accessi alle vie che durante la prima settimana hanno visto sfilare centinaia di migliaia di libanesi.
Le dimissioni di Hariri sono però un contentino per le richieste di chi protesta, la crisi politica che si apre ora in Libano è ancora lontana da un compromesso che possa portare a un cambiamento strutturale ed effettivo dello status quo. Nel discorso alla nazione del 31 ottobre, il presidente Michel Aoun ha parlato di un nuovo governo composto da ministri “designati per merito e non per affiliazione politica o religiosa”, dimostrando una timida apertura nei confronti delle richieste della piazza, senza però mettere in dubbio la propria posizione di presidente della repubblica. Aoun aveva già precedentemente invitato i manifestanti a designare dei rappresentanti che potessero discutere e mediare tra le richieste del popolo e le riforme del governo.
Simile proposta è stata avanzata dall’altra voce più autorevole nello scenario politico libanese e regionale: quella di Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah. Il suo discorso, tenuto il 25 ottobre, segna un cambiamento nella traiettoria delle proteste libanesi.
Mentre incitava i manifestanti a creare una delegazione di persone per discutere con il governo, allo stesso tempo li ha ammoniti contro il largo uso di parolacce fatto contro personaggi della politica, insinuando inoltre l’ingerenza di attori intenzionati a cavalcare l’onda delle proteste per portare avanti interessi politici contro l’integrità e lo sviluppo de paese. Pur rimanendo contrario alle dimissioni del governo, Nasrallah non sottovaluta la situazione e precisa l’importanza di portare avanti riforme radicali che possano apportare un effettivo cambiamento.
Il principale interesse del Partito di Dio, però, è operare all’interno del quadro istituzionale, anche se il cambiamento dovesse prevedere l’abolizione del sistema confessionale, aggiunge, la transizione dovrebbe avvenire comunque attraverso riforme comunque mediate dal governo. Lo stesso vale per le elezioni: per tornare al voto bisognerebbe creare ed approvare una nuova legge elettorale.
Dopo le ammonizioni del segretario generale, gli insulti nella piazza sono davvero diminuiti drasticamente e sostenitori dei partiti sciiti Amal ed Hezbollah sono scesi in massa per le strade della periferia sud di Beirut e di alcune città al sud, dove la presenza demografica sciita è maggiore.
La questione dell’abolizione del sistema confessionale è, se non il tema principale, sicuramente quello più discusso. Caratterizzato dalla presenza di una moltitudine di confessioni religiose (18 ufficialmente riconosciute), il Libano basa il proprio sistema politico sulla rappresentanza delle varie sette, in un complesso meccanismo di equilibri dove l’appartenenza identitario-confessionale si mescola con l’interesse economico-politico.
La trazione di politica “familiare”, con intere stirpi di uomini di rappresentanti appartenenti alla stessa famiglia, si intreccia con l’attitudine feudale delle varie figure protagoniste della politica libanese, che trascendono la loro figura di uomini di governo, per assumere quella di guida, persona di riferimento per le varie comunità. In un contesto simile, corruzione e nepotismo sono fenomeni decisamente frequenti, in grado di diffondersi in modo tentacolare in ogni aspetto della vita politica e sociale. Settarismo e corruzione sono dunque due fenomeni correlati, e la piazza chiede la fine di entrambi.
Malgrado l’impegno, ancora non è emerso dalla folla né un rappresentante unico né una commissione che possa incanalare le istanze della protesta. Il blocco rappresentato dalla società civile e da alcuni neo-partiti stenta ad avere un coordinamento unico e poco traspare sulla scena pubblica. Arrivati al sedicesimo giorno, tutto sembra scemato tra le strade; le banche, chiuse per due settimane, hanno riaperto e una parvenza di normalità serpeggia tra le strade.
È difficile dire se le piazze si siano svuotate per gli effetti dell’atto intimidatorio degli scorsi giorni o se per disillusione nel movimento. La contestazione non è però morta e tornare indietro non è un’opzione. Sono ancora molti che chiedono un cambiamento, tra cui Selim, che sul suo murales scrive: “Restituite tutti i soldi che avete rubato – e non dimenticate la bicicletta”. Nena News
L’unica cosa che mi inquieta è il pugno alzato, che fosse solo un richiamo al socialismo sarebbe anche bello, ma somiglia troppo a quello di OTPOR, movimento che ha contribuito alla frammentazione della Jugoslavia e alla sua affiliazione alla comunità occidentale
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