Alle parlamentari affermazione del movimento sciita, crolla Mustaqbal dell’attuale primo ministro. Una battuta d’arresto per le politiche dell’Arabia Saudita e un aumento della tensione con Israele
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Roma, 8 maggio 2018, Nena News – «Il progresso fatto da Hezbollah e i suoi alleati in Parlamento è letto come un rafforzamento dell’Iran in Libano, la tensione perciò salirà ancora di più. Israele già descrive il risultato delle elezioni libanesi come un rischio grave per la sua sicurezza e minaccia persino più di prima l’uso della forza».
L’analista Ghassan Khatib non può fare a meno di spiegare l’esito delle legislative di domenica in Libano, le prime in nove anni, all’interno di un quadro regionale che si aggrava giorno dopo giorno. Come dargli torto. Il premier israeliano e i suoi ministri, forti dell’appoggio incondizionato dell’amministrazione Trump, parlano apertamente della possibilità di un’attacco militare contro l’Iran e persino di un raid diretto al presidente siriano Bashar Assad se Tehran non metterà fine alla sua presenza in Siria.
«Tuttavia l’Iran è un Paese che sa come muoversi in questo contesto e farà in modo da non offrire nessun pretesto a Israele e Usa per attaccarlo. Reagirà ai recenti attacchi israeliani contro le sue postazioni (in Siria) ma lo farà in modo di non scatenare un confronto militare diretto con Israele. Sa che la Russia non interverrà in suo aiuto in caso di guerra. E con gli Stati uniti dietro a Israele, l’Iran è consapevole che la guerra non potrebbe vincerla», ci spiega Khatib facendo riferimento anche all’assicurazione offerta dal presidente iraniano Hasan Rohani che Tehran continuerà a rispettare l’accordo internazionale del 2015 sul suo programma nucleare anche se Trump il 12 maggio ritirerà l’appoggio degli Stati Uniti.
Lo sa bene anche il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che il successo elettorale del movimento sciita e del fronte “8 Marzo” filo-siriano e filo-iraniano, unito alla sconfitta del partito Mustaqbal del premier sunnita filo-occidentale, Saad Hariri, avrà riflessi inevitabili nelle dinamiche regionali.
«C’è una grande vittoria morale e politica per la scelta della resistenza , una grande vittoria che protegge la sovranità del Paese», ha proclamato Nasrallah, commentando ieri i risultati non ancora ufficiali del voto, andati ben oltre ogni sua rosea previsione. Hezbollah e i suoi alleati – l’altro partito sciita Amal, il Movimento Patriottico Libero del presidente della Repubblica Michel Aoun – hanno conquistato almeno 47 seggi dei 128 del Parlamento mentre i sondaggi della vigilia ne davano 40-42. Si tratta di un’altra battuta d’arresto per i disegni regionali dell’Arabia saudita che lo scorso novembre, imponendo le dimissioni a Hariri (poi ritirate), aveva invano provato a stravolgere il quadro politico del Paese dei cedri a danno di Hezbollah e dell’Iran.
Hariri dal voto di domenica esce con le ossa rote. Mustaqbal, dichiaratamente anti-siriano, è sceso da 33 a 21 seggi del Parlamento sotto i colpi dei rivali sunniti del primo ministro che ha perduto prestigio oltre all’appoggio di Riyadh. Hariri ha ammesso la sconfitta ma invece di analizzarne le sue cause politiche ha preferito puntare il dito contro la nuova legge elettorale introdotta nel 2017 che ha sostituito il maggioritario «chi vince prende tutto» nelle 15 circoscrizioni elettorali, con il sistema proporzionale che ha dato spazio a candidati sunniti non legati a Mustaqbal.
A sfavorirlo sono state inoltre la bassa affluenza alle urne, che non è andata oltre il 49% – gli elettori del fronte 8 Marzo sono più motivati rispetto a quelli del campo avverso -, la disaffezione dei libanesi verso la politica e la crisi dell’economia che cresce poco per poter generare ogni anno un numero sufficiente di posti di lavoro. Nonostante la sconfitta Hariri con ogni probabilità rimarrà primo ministro, in ragione dell’ordinamento libanese che assegna a un sunnita l’incarico di capo del governo.
Non ci sono al momento rivali sunniti in grado di insidiarlo e, in fondo, allo stesso Hezbollah conviene l’assegnazione dell’incarico – per la formazione di un esecutivo nazionale con le maggiori forze politiche – a un avversario in forte declino e non in grado di imporre la sua linea.
Nasrallah già ieri ha invocato la formazione in tempi rapidi di un nuovo governo in cui tutte le forze politiche dovranno cooperare per garantire la stabilità nazionale. L’ombra della guerra è l’incognita più grande che grava sul Libano, senza dimenticare che l’Amministrazione Trump terrà sotto pressione l’Iran anche prendendo di mira i suoi alleati nella regione, a partire proprio da Hezbollah.