Le manifestazioni per il lavoro si moltiplicano, insieme al numero di foreign fighters diretti tra le braccia del “califfato”. E che potrebbero tornare indietro
di Stefano Mauro
Roma, 12 aprile 2017, Nena News – “La Tunisia ha cominciato un lungo processo di transizione democratica, con numerosi ostacoli e tragedie che non ci devono far perdere l’obiettivo principale: la riconquista della libertà”. Con questo recente discorso alla televisione nazionale, il presidente della repubblica, Beji Caid Essebsi, ha ricordato questi sei lunghi anni relativi alla “rivoluzione dei Gelsomini” che ha dato il via alla cosiddetta “primavera araba” in diversi paesi nordafricani.
Tutti gli esponenti politici tunisini ribadiscono, infatti, che la principale riconquista della rivoluzione è la libertà. Una libertà di parola, di pensiero e di dissenso. Le proteste popolari hanno portato, ad esempio, alla caduta del governo del partito islamista Ennahda (Movimento della rinascita in arabo), accusato di immobilismo, clientelismo e nepotismo. Una contro-rivoluzione laica che ha reindirizzato il paese verso una prospettiva politica più progressista, nonostante le tensioni sociali passate ed i numerosi omicidi di esponenti politici laici.
Il più celebre fu l’assassinio del coordinatore del Fronte Popolare, principale coalizione tunisina di sinistra, Chokri Benaid, il 6 febbraio 2013. Le numerose manifestazioni scoppiate in tutta la Tunisia, con uno sciopero generale che fermò il paese per diversi giorni, portarono alla crisi del governo di Ennahda, indicato come il principale mandante politico dell’omicidio.
“Il nostro paese – ha aggiunto il presidente tunisino – si trova sotto un’offensiva terrorista senza precedenti che rischia di disintegrare la nazione e le sue istituzioni”. Le cifre ufficiali, infatti, indicano in oltre 5mila i militanti jihadisti che sono andati a combattere con Daesh (Isis) in Siria e Iraq. Un numero enorme che, con la prossima caduta del “califfato” di Al Baghdadi, rischierebbe di riportare il paese in un vortice di attentati terroristici a causa, principalmente, del rientro del battaglione jihadista “tunisino”.
Dopo i tre terribili attentati del 2015, il Museo del Bardo di Tunisi (Marzo), il resort di Sousse (Giugno) e l’assalto ad un convoglio della Guardia presidenziale a Tunisi (Novembre), la Tunisia sta attraversando un periodo di relativa “stabilizzazione e calma”, secondo le parole del primo ministro tunisino Yussef al Shahed. Intervistato riguardo al dibattito sul rientro dei foreign fighters, il ministro ha dichiarato che “la minaccia del terrorismo persiste, ma il dispositivo delle forze di sicurezza ha acquisito una notevole esperienza ed efficacia, puntando allo smantellamento preventivo delle cellule terroriste”. “Molti di loro vogliono ritornare – ha proseguito – e non possiamo impedire ad un tunisino di rientrare nel suo paese, anche se bisogna affrontare questa malattia con gli apparati di sicurezza, con la giustizia e con la rieducazione sociale contro la radicalizzazione di questi anni”.
Bisogna ricordare che a causa dell’ondata jihadista e dell’instabilità della vicina Libia, la Tunisia sta attraversando un periodo di profonda crisi economica. “Non si contano ormai quasi più – dice l’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT), il principale sindacato nazionale – gli scioperi, i sit-in e le manifestazioni di protesta contro le dure condizioni di lavoro e l’alto tasso di disoccupazione”.
Le tensioni sociali e l’allarme sicurezza hanno avuto delle ripercussioni gravi sull’economia. In base ai dati forniti dal quotidiano tunisino El Shaab (Il Popolo), legato all’UGTT, il turismo, settore economico trainante, ha avuto un calo di oltre il 30% così come le aziende e gli investimenti stranieri.
In una recente intervista il portavoce del Fronte Popolare, Hamma Hammami, ha dichiarato che “la strategia di Daesh è proprio quella di colpire l’economia nazionale per creare disoccupazione, tensione sociale e favorire il reclutamento di nuovi terroristi”. A questo va aggiunto, però, “la corruzione e la scarsa capacità di parte della classe politica, priva ancora di una reale strategia per lo sviluppo e la ripresa del paese”. “La Tunisia – ha concluso Hammami – rimane l’unica esperienza di successo della Primavera Araba in termini di libertà e democrazia, anche se di questi sei anni di rivoluzione restano ancora tante speranze e tante aspirazioni da realizzare da parte del popolo tunisino”. Nena News