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Letteralmente “Bidun jinsiyya”, senza nazionalità, la popolazione Bedoon, discendenti delle comunità beduine nomadi che abitavano l’area, in Kuwait è considerata apolide, senza Stato di conseguenza, senza diritti.

Manifestazione per i diritti del popolo Bidoon. Foto YASSER AL-ZAYYAT/AFP/Getty Images

Manifestazione per i diritti del popolo Bidoon. Foto YASSER AL-ZAYYAT/AFP/Getty Images

di Francesca La Bella

Roma, 7 maggio 2015, Nena News – La storia della discriminazione del popolo Bedoon deve essere fatta risalire agli inizi degli anni ’60 del ‘900. A quel tempo il Kuwait preparava la sua indipendenza dalla Gran Bretagna e nella sua trasformazione in entità statuale indipendente creava le basi per il riconoscimento della nazionalità ai propri cittadini. Durante questo processo la maggiorparte dei 180000 Bedoon presenti nel Paese, sia per motivi pratici (analfabetismo, nomadismo, poca praticità con le dinamiche amministrative) sia per chiare scelte politiche del neonato Governo nazionale, non ebbe la capacità/possibilità di ottenere la cittadinanza. Da quel momento in avanti la popolazione Bedoon venne considerata apolide e, quindi, priva dei requisiti necessari per usufruire delle politiche di welfare così come dei servizi fondamentali dello Stato. In questo senso i Bedoon non possono ottenere certificati di nascita, morte, matrimonio, accedere a scuola e sanità pubblica, ottenere sussidi o lavorare legalmente al di fuori del settore privato. In questo contesto non stupisce scoprire che, all’interno della società kuwaitiana, la popolazione Bedoon presenta indici di arretratezza ben più alti della media nell’ambito dell’alfabetizzazione, della qualità di vita e del reddito strettamente inteso. La negazione totale dei diritti politici, inoltre, preclude ai rappresentanti Bedoon la presa in carico del proprio destino come comunità.

A questo si aggiunga che la popolazione Bedoon sconta un sostanziale silenzio interno ed internazionale sulla questione. Pochissimo è stato scritto sulla loro cultura e sulle loro condizioni di vita e ciò che più facilmente si reperisce sono articoli di cronaca relativi a reati, arresti e suicidi. Per quanto i report di Human Rights Watch e di altre organizzazioni internazionali dimostrino come la popolazione Bedoon sia esclusa dall’educazione pubblica in violazione alle norme di tutela dei diritti dei minori e come decine di membri della minoranza siano ogni anno incarcerati e sottoposti a giudizio per la partecipazione a manifestazioni contro il Governo, molto spesso l’analisi della questione viene inserita in indagini più ampie sui diritti delle minoranze.

In una situazione come questa, la Primavera Araba che ha investito gran parte dei Paesi del Medio Oriente è sembrata l’occasione per i Bedoon per cercare di ottenere almeno i diritti primari di ogni essere umano. Così fin dal 2011 forte è stata la presenza della minoranza nelle manifestazioni di piazza e nelle assemblee. Questo ha, da un lato, permesso ai Bedoon ed alla loro causa di ottenere un certo grado di visibilità, ma dall’altro li ha resi vittima di un’imponente ondata repressiva fatta di arresti, morti e deportazioni. A onor del vero, bisogna, però, riconoscere che, a seguito delle proteste, alcuni passi in avanti nel riconoscimento della minoranza Bedoon sono stati fatti: a inizio 2013 a circa 80000 di loro è stata concessa la carta d’identità nazionale ed è stata approvata una legge per la naturalizzazione di 4000 di loro come cittadini kuwaitiani.

La situazione è, però, ben lungi dall’essere risolta. Se al fatto che nemmeno quest’ultima legge è ancora stata realmente applicata si aggiungono le dichiarazioni del Governo kuwaitiano di fine 2014, si può facilmente capire come non esista una reale volontà governativa di trovare una soluzione della questione che permetta la tutela della popolazione. Il Governo del Kuwait avrebbe, infatti, offerto ai membri della comunità Bedoon la cittadinanza delle Isole Comore. Secondo il Governo, in questo modo la minoranza avrebbe avuto accesso al mondo del lavoro ad ai principali servizi sociali. Se da un lato questo può sembrare un, seppur tenue, riconoscimento dell’esistenza di una questione Bedoon, dall’altro potrebbe essere un’ulteriore peggioramento della condizione della minoranza che, secondo i trattati internazionali, fino a quando rimane apolide non è espellibile. Qualora diventassero cittadini di un altro Paese, però, questa norma non risulterebbe più valida.

I problemi di definizione dello status dei Bedoon non risiedono, però, solo in una scelta discriminatoria del Governo, ma poggiano su problematiche internazioni e di sicurezza. Nonostante molti Bedoon abbiano prestato servizio nell’esercito kuwaitiano anche durante la guerra del Golfo, la minoranza è da sempre accusata di fungere da “testa di ponte” irachena nel Paese. Gran parte della popolazione kuwaitiana teme, inoltre, che il riconoscimento di diritti specifici per i Bedoon apra la strada ad una frammentazione della società su basi etniche e permetta a cittadini stranieri di ottenere la cittadinanza locale nascondendo le proprie generalità. In questo senso, nel 2014, ha fatto particolare scalpore la notizia diffusa dal Governo secondo la quale circa 6000 Bedoon sarebbero stati, in realtà, cittadini sauditi che avevano deliberatamente occultato la propria identità. Questo e la rappresentazione dei Bedoon come arretrati, poco affidabili e sostanzialmente inferiori rende ancor più difficoltosa l’integrazione nella società. Alla luce delle perduranti difficoltà in cui versa questa popolazione, risulta evidente come solo una politica ampia e coordinata sulla questione potrebbe portare ad una soluzione reale e di lungo termine. Questa soluzione non sembra, però, ad oggi nell’agenda politica del Governo del Kuwait. Nena News

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