Da protagonista indiscusso del movimento per l’indipendenza e della sollevazione contro Baghdad a primo presidente non arabo dell’Iraq post-Saddam, è stato una figura di tante luci e qualche ombra. Alter ego del presidente Barzani, con il clan rivale si è spartito il controllo della regione
della redazione
Roma, 4 ottobre 2017, Nena News – Ad una settimana dal referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno si è spento Jalal Talabani, ex presidente iracheno e leader del partito kurdo Puk (Unione patriottica del Kurdistan). Era ricoverato in un ospedale in Germania per un ictus che lo aveva colpito nel dicembre 2012. Ieri è entrato in coma. Poco dopo la famiglia ne ha annunciato il decesso, a 83 anni.
Talabani, chiamato dai suoi sostenitori Mam Jalal, zio Jalal, è stato uno dei simboli del movimento kurdo all’interno dell’Iraq. E ieri è stato ricordato da tutto lo spettro politico kurdo-iracheno. Dall’avversario di sempre, il Kdp di Barzani con cui il Puk ha combattuto una dura guerra civile conclusasi con la riconciliazione e la gestione “comune” dell’autonomia dal governo centrale di Baghdad, alle opposizioni attuali, a partire da Gorran. Il presidente Barzani lo ha commemorato in un messaggio tv: “Ho perso un compagno e un fratello”, ha detto prima di annunciare una settimana di lutto in tutta la regione kurdo-irachena.
Condoglianze anche dai movimenti kurdi oltre confine: il Pyd siriano lo ha ricordato come “uno dei leader più grandi del Kurdistan”.
Fu proprio Talabani – che nella sua vita ha indossato l’uniforme peshmerga, tra i primi a sollevarsi contro Baghdad nel 1961, dopo aver servito nell’esercito iracheno come comandante di un’unità – a fondare il Puk nel 1975, dopo l’iniziale affiliazione al Kdp in cui entrò a soli 14 anni, nel 1947. Durante la guerra civile scoppiata nel 1994 fuggì in esilio per tornare nel 1998 a conflitto concluso e dopo la firma, a Washington, dell’accordo di pace con Massoud Barzani.
Fino a diventare, nel 2005, il primo presidente non arabo dell’Iraq, dopo la caduta di Saddam Hussein a seguito dell’invasione statunitense del paese, carica che ha rivestito fino all’insorgenza della malattia.
Una personalità di molte luci e qualche ombra. Leader indiscusso del movimento per l’indipendenza per 40 anni, protagonista del consiglio di transizione post-Saddam e della costituzione nata dalle ceneri del regime Baath, attore dei tentativi di risollevazione di un paese devastato dall’invasione Usa e il terrorismo di al Qaeda, è stato anche l’alter ego del presidente Massoud Barzani, succeduto al padre Mustafa nel 1979.
Due grandi famiglie, i Talabani e i Barzani, che per decenni hanno cementato il loro potere spartendosi il territorio della regione: i primi a Suleymaniya, i secondi a Erbil. Veri e propri imperi politici e militari (con unità peshmerga divise tra i due partiti di riferimento e i due territori, fisicamente separati da checkpoint più o meno ufficiosi), ma anche centri di potere economico, messi in discussione dalle più recenti manifestazioni popolari che nel 2015 hanno chiesto, senza successo, maggiore trasparenza e riforme socio-economiche e democratiche.
Con la sua scomparsa si chiude un’epoca, lunga e difficile. E si apre, per il Puk, a poche settimane dalle elezioni presidenziali e parlamentari, annunciate per il primo novembre prossimo, una fase di revisione interna. Nena News