La polizia attacca i manifestanti, 90 feriti. In centinaia assaltano gli uffici dei due partiti Kdp e Puk, sintomo di una rabbia che investe lo status quo e che accusa entrambi di incapacità e corruzione
AGGIORNAMENTI
ore 16.30 – Gorran e Gruppo islamico si ritirano dal governo
I due partiti di opposizione, Gorran e Gruppo Islamico, hanno annunciato oggi il ritiro dei propri ministri dal governo del Kurdistan iracheno e dei propri deputati dal parlamento. Inoltre, il presidente del parlamento Yusuf Mohammed, di Gorran, si dimetterà. Da due anni a Mohammed è impedito l’ingresso a Erbil.
ore 12.10 – Truppe dispiegate a Suleimaniya, città chiusa
Il governo curdo iracheno ha dispiegato le forze armate nella seconda città della regione, Suleimaniya, uno degli epicentri delle proteste di questi giorni: polizia antisommossa, truppe armate con fucili automatici, cannoni ad acqua sono presenti in tutta la città e nelle vie principali. I negozi sono chiusi.
Intanto nel mirino dei manifestanti finisce anche il partito di opposizione Gorran, nato da una costola del Puk e primo critico delle politiche del governo centrale. L’ufficio del partito a Rania è stato attaccato con le pietre.
ore 11 – Video dalla città di Rania, fonte Twitter
Fresh protests in Rania over killing of six demonstrators
Protests have been taking place in Rania since early hours of the morning while all shops in town remain closed. https://t.co/NemxDNSqT4 pic.twitter.com/C27Wt39Idv— Idris Al Oso (@Idrisaloso) December 20, 2017
ore 10.45 – Proteste questa mattina nella regione, un morto e una decina di feriti
I curdi iracheni tornano in piazza anche oggi nelle città epicentro delle manifestazioni. I cortei gridano rabbia per le vittime della polizia, tensione altissima: secondo i primi aggiornamenti, si conta oggi una settima vittima e una decina di feriti. A Chamchamal la polizia ha imposto il coprifuoco.
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di Chiara Cruciati
Roma, 20 dicembre 2017, Nena News – Non cessano le proteste nel Kurdistan iracheno, dell’euforia del 25 settembre non resta nulla. L’entusiasmo per la vittoria del referendum sull’indipendenza voluto dal presidente Barzani si è dissipata sotto i colpi delle potenze vicine contrarie a qualsiasi secessione dall’Iraq, dell’embargo aereo e delle minacce. A galla sono tornati tutti i limiti del Governo regionale del Kurdistan, le disuguaglianze socio-economiche, la corruzione dilagante e il potere incentrato in poche mani incapaci di gestire la regione.
Ieri, dopo le proteste di lunedì, nuove manifestazioni hanno portato in piazza la rabbia di migliaia di persone, tra loro tanti dipendenti pubblici senza stipendo da mesi – alcuni da anni – ma anche cittadini stanchi della doppia autorità Puk-Kdp, i due principali partiti che da decenni si spartiscono fisicamente il Kurdistan iracheno e le sue ricchezze economiche.
Il bilancio finale parla di sei morti e oltre 90 feriti nelle cariche della polizia. Cinque manifestanti sono stati uccisi in piazza, una sesta in ospedale per le ferite riportate. Gli scontri più duri si sono registrati nella città di Rania, dove i manifestanti hanno dato alle fiamme gli uffici del partito di governo, del clan Barzani, il Kdp. Lo stesso è successo a Kuya e Taktak. Feriti e arresti a Koye, Kifre, Qeladize, Khurmal, Avreze, Chamchamal, Sharezur, Warma, Akra. Coinvolte sono le province di Suleimaniya e Halabja, storicamente più distanti dal governo centrale e cuore delle proteste anti-governative. I manifestanti hanno bruciato foto di Masoud Barzani, la polizia ha aperto il fuoco e ha issato barricate intorno agli uffici pubblici e alle sedi dei partiti per impedire ai manifestanti di avvicinarsi.
Le richieste sono precise: non solo il pagamento degli stipendi in stand by da anni e non solo la fornitura di servizi essenziali, collassati sotto la crisi economica che da tre anni attanaglia Erbil, ma anche le dimissioni immediate dell’attuale governo. E non mancano i riferimenti più politici: la folla ha gridato slogan contro l’esecutivo responsabile di aver ceduto al governo centrale di Baghdad le zone contese, durante l’offensiva lanciata dalle forze irachene post-referendum e che ha permesso loro di riprendere aree che dal 2014 i peshmerga curdi controllavano. Sinjar, parti della provincia di Nineve, ma soprattutto la ricca Kirkuk, da decenni contesa tra curdi e arabi che ne rivendicano la proprietà.
Nella giornata di ieri i servizi di sicurezza Asayish hanno fatto irruzione nella sede dell’emittente tv Nrt di Suleimaniya e ne hanno imposto la chiusura per una settimana. La tv è accusata di aver incitato alla violenza.
Prova a smorzare le tensioni Nechirvan Barzani, primo ministro e nipote del presidente dimissionario Masoud: “La vostra frustrazione è comprensibile – ha scritto in un post su Facebook – L’espressione pacifica delle proprie visioni è ovviamente legittima e un diritto democratico. Ma la violenza non è mai accettabile. Chiedo a tutti voi di portare avanti le vostre proteste pacificamente”.
Ma la realtà è altra, è l’assenza del governo. Dopo le dimissioni di Barzani dalla presidenza a fine ottobre e la sospensione delle elezioni parlamentari e presidenziali previste per il primo novembre, la regione vive una seria crisi, un vuoto di potere effettivo perché nessuno più riconosce come legittima un’autorità scaduta e incompentente. Lo status quo che per dalla guerra civile degli anni Novanta ha dettato la vita politica del Kurdistan iracheno è collassato e non più accettato dalla gente: la divisione di poteri tra Erbil e Suleimaniya, tra Kdp e Puk, non funziona più e un cambiamento radicale è chiaramente necessario. Lo dicono le proteste: nel mirino non ci sono solo le sedi del Kdp ma anche quelle del Puk, del clan Talabani. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati