Crisi economica aggravata dal Covid-19, stipendi non pagati, corruzione e nepotismo: la regione esplode, trainata dai dipendenti pubblici a cui si sono uniti altri settori della società. Pugno duro del governo di Erbil, decine i feriti e gli arrestati, almeno otto le vittime
di Marco Santopadre
Roma, 15 dicembre 2020, Nena News – Mentre nell’autunno del 2019 Baghdad e altre città irachene erano scosse da un variegato movimento di protesta contro la classe politica, le province curde del nord sono rimaste tranquille. Ma ora la rabbia e la frustrazione di decine di migliaia di lavoratori pubblici e di pensionati è esplosa e la protesta si è rapidamente allargata ad altri settori in crisi economica e alla prese con le conseguenze dell’emergenza Covid-19, in particolare alle giovani generazioni.
A “incendiare la prateria” è stata la protesta degli impiegati pubblici nel centro di Sulaymaniyah, che all’inizio di dicembre hanno iniziato a chiedere a gran voce il pagamento dei loro stipendi, non versati ormai da quasi due mesi dopo che già lo scorso anno era in molti casi saltato il pagamento di altre sei mensilità. La reazione del governo autonomo curdo che gestisce il nord del paese è stata dura, ma la repressione ha convinto altri settori popolari a unirsi alla protesta che si è presto estesa ad altre città della regione.
Oltre a chiedere il pagamento degli stipendi arretrati e delle pensioni, le piazze hanno cominciato a formulare una serie di rivendicazioni di carattere generale, denunciando la corruzione, il nepotismo e l’inettitudine della classe politica locale, la mancanza di servizi pubblici e il progressivo impoverimento della società. Secondo le Nazioni Unite, nella regione i livelli di povertà sono velocemente aumentati a partire dal 2018 e attualmente circo un terzo delle famiglie curde irachene sopravviverebbe con meno di 400 dollari al mese.
La pandemia – con l’aumento della disoccupazione e il crollo dei consumi – ha notevolmente aggravato la situazione così come il calo del prezzo degli idrocarburi che ha ulteriormente svuotato sia le casse di Erbil sia di Baghdad, che dipendono al 90% circa dalle esportazioni di idrocarburi.
Scaricando ogni responsabilità sul governo centrale iracheno, accusato di non sbloccare le risorse sufficienti al soddisfacimento delle richieste dei manifestanti, il capo dell’esecutivo locale Masrour Barzani ha chiuso ogni spiraglio alla trattativa e, anzi, ha denunciato la presunta cospirazione che si celerebbe dietro le proteste, che ha provato a soffocare rallentando internet, bloccando i social media e facendo arrestare o minacciare alcuni giornalisti. La polizia ha anche fatto irruzione all’interno degli studi di un canale televisivo gestito da un partito di opposizione solidale con le proteste, costringendolo a terminare le trasmissioni.
Il governo di Erbil ha inviato a Baghdad una delegazione per tentare di strappare alcune concessioni al governo statale rispetto ai finanziamenti destinati alla regione autonoma e alla distribuzione dei proventi della vendita di gas e petrolio ma l’annoso conflitto in merito tra le due entità non sembra destinato a risolversi velocemente. Molti manifestanti e le opposizioni accusano gli esponenti del governo curdo di intascare parte dei proventi della vendita del petrolio alla Turchia, avviata senza il consenso e il controllo delle autorità centrali irachene.
In mancanza di risposte concrete, intanto i dimostranti hanno assaltato e dato alle fiamme edifici governativi, stazioni di polizia e alcune delle sedi dei due principali partiti del Kurdistan iracheno – il Partito democratico (Pdk) e l’Unione patriottica (Puk) – dominati rispettivamente dal clan Barzani e dal clan Talabani.
Nella repressione sarebbero finora stati uccisi, secondo i bilanci tracciati dai media locali, almeno otto manifestanti, la maggior parte dei quali molto giovani quando non adolescenti, e molti altri sarebbero stati feriti e arrestati, nonostante alle proteste abbiano partecipato anche alcuni deputati del parlamento autonomo (l’Assemblea Nazionale del Kurdistan). Secondo le autorità, in conseguenza degli scontri sarebbe deceduto anche un membro delle Forze di Sicurezza.
Le proteste sono continuate anche nei giorni scorsi, nonostante i divieti e il coprifuoco, la chiusura delle principali piazze e lo schieramento nelle strade delle forze di sicurezza e delle milizie del Pdk e del Puk che, oltre a sparare lacrimogeni contro i cortei non esitano a usare pallottole di gomma e munizioni vere contro la folla. Nena News