Mentre il presidente Barzani ripropone ambizioni di indipendenza, la popolazione soffre per taglio dei salari e rottura con Baghdad. Che cerca di ricucire
della redazione
Roma, 3 febbraio 2016, Nena News – Masoud Barzani è uomo di strategia. Da tempo prepara il terreno all’indipendenza della regione autonoma del Kurdistan iracheno (Krg), allargando i confini, stringendo alleanze commerciali con la Turchia, costruendo condutture per vendere all’estero gas e greggio in autonomia, aprendo una battaglia economica con il governo centrale di Baghdad. E sfruttando con perizia la lotta allo Stato Islamico.
Non è un caso che pochi gioni fa in un’intervista al The Guardian abbia analizzato l’attuale ridefinizione dei confini mediorientali, quelli nati un secolo fa con Sykes-Picot, prevedendo cambiamenti strutturali: “Penso che i leader mondiali siano giunti alla conclusione che l’era di Sykes-Picot è finita. La realtà sul terreno è un’altra”. Quella creata da conflitti e operazioni militari e che ha modificato radicalmente l’Iraq e la sua unità nazionale.
Erbil si è ampliato, arrivando a Kirkuk, liberando Sinjar e “intrappolando” al suo interno Mosul. La mappa politica del nord Iraq è cambiata dopo l’offensiva dello Stato Islamico e il sempreverde Barzani sa che è il momento giusto per approfittarne. Così, pochi giorni dopo l’intervista al quotidiano britannico, ha rimesso sul tavolo il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno: l’indipendenza “è più vicina che mai”. “Ne abbiamo discusso con la Turchia – ha proseguito – Non penso si opporranno, è il nostro diritto. Non minacciamo nessuno”.
Ieri il presidente ha riproposto il referendum, dopo lo stop del 2014, pur non indicando date certe: “La situazione è ottimale per il popolo kurdo per decidere il proprio destino con un referendum. Non significa dichiarare la statualità ma chiedere un opinione. Poi la leadership politica concretizzerà la volontà del popolo”.
Erbil non ha mai nascosto le proprie ambizioni, che cancellano il sogno di un Kurdistan unico, impossibile anche a causa delle differenze idelogiche tra i kurdi iracheni e i kurdi turchi e siriani, vicini al Pkk. Il percorso di del Krg è chiaro, da due anni. A preparare il terreno è stata la rottura con Baghdad in merito al trasferimento del budget dal governo centrale, bloccato nel 2014 dopo che Erbil ha iniziato a vendere greggio da solo, senza passare per la capitale irachena.
Il congelamento del trasferimento, secondo Erbil, avrebbe provocato una grave crisi economica e un deficit di budget che la scorsa settimana è stato valutato in 406 milioni di dollari. Diversa l’opinione delle opposizioni interne al potente partito di Barzani, il Kdp: Goran, partito uscito dal governo di unità dopo la cacciata dei propri ministri da parte del Kdp, accusa Erbil di nascondere il reale valore delle vendite di greggio e gas e di fabbricare una crisi economica per reprimere le voci contrarie e dare forza a politiche autoritarie.
A pagare è la popolazione: i dipendenti pubblici, oltre un milione e mezzo, circa il 25% dela forza lavoro, non ricevono il salario da cinque mesi, mentre aumenta ogni giorno il numero di lavoratori che si offrono a giornata per pochi soldi al caporale di turno. Aumenta il gap tra ricchi e poveri e aumenta la percentuale di chi non riesce a vivere dignitosamente: il 20% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Perché le ricchezze derivanti dall’esportazione di greggio finisce in mano a pochi, all’élite economica che è anche élite politica.
A dicembre il governo di Baghdad – preoccupato dalla frammentazione nazionale – ha fatto il primo passo, promettendo lo scongelamento del trasferimento del denaro spettante a Erbil, il 17% del budget totale. Domenica scorsa le due delegazioni di negoziatori si sono incontrate e hanno trovato un’accordo su riforme economiche congiunte per affrontare la crisi, peggiorata dal crollo del prezzo del petrolio: il budget del Krg sarà restituito da Baghdad in cambio di 550mila barili di petrolio al giorno da parte kurda, più o meno la produzione nel distretto di Kirkuk, città contesa perché la più ricca di petrolio del paese.
Manca il resto, ma – dice il partito Goran – è difficile valutare le reali vendite perché il governo le camuffa. Da parte sua Barzani, la cui famiglia controlla numerose imprese e compagnie e la crisi non la vive, sfrutta ogni occasione per rafforzarsi e uscire dalla guerra all’Isis con una regione indipendente. Nena News
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