Centinaia di rifugiati hanno manifestato ieri a Herzelia (prima) e a Gerusalemme (poi) contro la “legge anti-infiltrati” del governo Netanyahu che prevede la loro espulsione in un Paese terzo (Uganda o Ruanda sembrerebbe) a partire da marzo. A sostenere la loro lotta, oltre agli attivisti di sinistra, anche 35 scrittori, 470 accademici, 50 rabbini e 3 piloti della compagnia di bandiera el-Al
di Roberto Prinzi
Roma, 23 gennaio 2018, Nena News – Ieri centinaia di richiedenti asilo eritrei e sudanesi hanno protestato in Israele contro la loro imminente espulsione e deportazione (sembrerebbe in Uganda e Ruanda). Le manifestazioni hanno avuto luogo in due località e momenti differenti: la prima è avvenuta fuori l’ambasciata ruandese a Hezilia (cittadina a nord di Tel Aviv) dove i manifestanti (oltre 1.000) hanno gridato “siamo esseri umani” e portavano cartelli su cui c’era scritto “Non disperatevi, fermeremo l’espulsione”.
La seconda, invece, fuori la residenza del capo di stato Rivlin a Gerusalemme. Per comprendere la rabbia dei richiedenti asilo bisogna ritornare allo scorso mese quando la Knesset ha approvato un emendamento alla cosiddetta “Legge anti-infiltrati” (così vengono chiamati dal governo e gran parte dei media israeliani i migranti illegali) che impone la chiusura della prigione di Holot situata nel deserto del Neghev (“struttura aperta”, dice il governo, dove dal 2013 sono stati ammassati migliaia di migranti) e stabilisce l’inizio delle deportazioni di massa a partire dal prossimo marzo-aprile.
A essere colpiti sono circa 38.000 richiedenti asilo e migranti africani per lo più eritrei (72%) e sudanesi (20%), la maggior parte dei quali è arrivata in Israele tra il 2006 e il 2012 e risiede nei quartieri marginalizzati nel sud di Tel Aviv dove la tensione con la popolazione locale è da anni altissima. Secondo quest’ultimi, infatti, l’aumento dei crimini (furti, stupri, violenze) che si registra nell’area sarebbe dipeso dai migranti. Un assist per l’esecutivo di estrema destra di Benjamin Netanyahu che, strumentalizzando le paure del sottoproletario israeliano soprattutto sefardita, è pronto ormai a chiudere la questione “infiltrati” una volta e per sempre.
Il premier è stato chiaro domenica quando ha detto che “la maggior parte” di queste decine di migliaia di africani non è rappresentata da legittimi rifugiati, ma migranti economici che “cercano lavoro”. E così la soluzione pensata per sbarazzarsene è quella di deportarli dando a ciascun migrante una cifra intorno ai 3.800 dollari e 5.000 dollari al paese terzo pronto ad “accoglierli”. Paese terzo di cui però al momento non si sa nulla, sebbene i richiedenti asilo lo identifichino con l’Uganda e il Ruanda (Kigali nega). Secondo le testimonianze dei deportati raccolte dalla stampa israeliana, alcuni espulsi sono stati abbandonati vicino ad un confine internazionale africano nel mezzo della notte e senza documenti. Altri, invece, hanno raccontato di essere stati sottoposti ad abusi e violenze non ottenendo nemmeno il denaro promesso da Tel Aviv.
“Siamo qui oggi per manifestare contro l’intesa Ruanda-Israele che vuole deportarci in cambio di denaro” ha gridato fuori l’ambasciata ruandese il 33enne Halefom Sultan, in Israele dal 2009. “Non possiamo ritornare in Eritrea, Tel Aviv lo sa, non dovremmo andare in Ruanda. Tel Aviv ha le capacità e le responsabilità per darci sicurezza”. Secondo Helen Kidane, direttrice del Centro delle donne eritree, tra i 10 e i 20 eritrei deportati in questi anni dal governo israeliano sono morti mentre cercavano di raggiungere un altro Paese. “Se il Ruanda è così sicuro come dice Israele, allora perché i rifugiati non restano lì?” si chiede Helen ironicamente. Se di centinaia di espulsi non si hanno più notizie, di fatto sparendo nel nulla, finora è stata accertata la morte di due “infiltrati” uccisi dallo Stato Islamico in Libia mentre tentavano di raggiungere il mar Mediterraneo per arrivare in Europa.
Ma di fronte alla deportazione di massa pensata dal governo (e appoggiata da gran parte dello schieramento politico e opinione pubblica israeliani), c’è anche una parte di società che coraggiosamente prova a difendere i migranti dicendo no alle espulsioni di massa. La scorsa settimana, la ong “Rabbini per i diritti umani” ha annunciato che i suoi membri nasconderanno i richiedenti asilo sottoposti ad espulsione.
Non solo: ieri tre piloti della compagnia aerea di bandiera El Al hanno annunciato su Facebook che si rifiuteranno di deportare i migranti nei Paesi terzi. Sul suo account personale, il pilota Ido Elad è stato chiaro: “Mi unisco a molti miei amici dichiarando che non porterò i rifugiati alla morte. Non sarò parte di questa barbarie”. Sottolineando i pericoli simili affrontati dagli ebrei nel corso della storia, il suo collega Yoel Piterbarg ha scritto un lungo post su Facebook: “Lo Stato d’Israele è abitato principalmente da ebrei che sono stati nel passato recente e lontano rifugiati nei paesi del mondo. Molti di loro hanno vissuto l’Olocausto, molti sono stati espulsi dai loro paesi e molti sono immigrati volontariamente in luoghi migliori che hanno accettato di occuparsi di loro”. Per tale motivo, “noi ebrei dobbiamo essere attenti, empatici con i rifugiati che hanno sofferto e soffrono nei loro paesi d’origine”.
I commenti dei tre piloti giungono a distanza di 10 giorni dal lancio di una campagna della ong Zazim Community Action che chiedeva ai piloti israeliani di non prendere parte alla deportazione dei richiedenti asilo sudanesi ed eritrei in Ruanda o in qualunque altro Paese africano pericolso. Ma a mobilitarsi non sono soltanto loro. Nell’ultima settimana 35 importanti scrittori israeliani (tra cui Amos Oz, Meir Shalev, Etgar Keret, David Grosman, A.B. Yehoshua, Zeruya Shalev, Orly Castel Bloom, Agi Mishol , Noa Yadlin e i drammaturghi Edna Mazya e Joshua Sobol), 50 rabbini collegati all’associazione pluralistica ortodossa Torat Chayim e 470 accademici israeliani hanno protestato pubblicamente contro il piano “anti-infiltrati” del governo.
Indirizzando una lettera al capo dello Stato, i docenti delle università hanno esortato Rivlin a “ritirare la mozione dell’esecutivo che approva l’arresto e la deportazione dei richiedenti asilo che hanno trovato rifugio in Israele”. “Noi – scrivono ancora gli studiosi – dobbiamo ricordare che siamo stati stranieri e rifugiati perseguitati e pertanto dobbiamo offrire un caldo benvenuto ai richiedenti asilo scappati dalle loro case e nazioni per poter salvare la loro vita e quella dei loro familiari”. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir