I ministri israeliani Bennet (Istruzione) e Shaked (Giustizia) voteranno contro l’intesa annunciata ieri da Tel Aviv e da Ankara. Il loro “no” è stato anticipato lunedì da quello del neo ministro della difesa Lieberman. Hamas loda l’atteggiamento turco
di Roberto Prinzi
Roma, 28 giugno 2016, Nena News – L’accordo di pacificazione tra Israele e Turchia proprio non è andato giù a “Casa Ebraica” del ministro israeliano dell’Istruzione Naftali Bennet. In una dichiarazione rilasciata stamane, il partito di estrema destra ha detto che si opporrà all’intesa nel voto che il gabinetto di sicurezza avrà domani. Sono due i motivi che hanno fatto infuriare Bennet e la ministra di Giustizia Shaked: il primo aspetto è rappresentato dai 21 milioni di euro di “ricompensa” che Tel Aviv dovrà pagare alle famiglie delle 10 vittime turche della Mavi Marmara (“terroristi” secondo il linguaggio di Casa Ebraica e della gran parte dello spettro politico israeliano). Il secondo, invece, è dato dal fatto che l’accordo non prevede il ritorno dei cadaveri dei due soldati israeliani uccisi a Gaza nel 2014.
“Riconciliarsi con Ankara è importante di questi tempi e rientra nell’interesse di Israele” ha detto Bennet. “Tuttavia – ha aggiunto il ministro – pagare delle ricompense a responsabili di atti di terrorismo [gli attivisti della Mavi Marmara, ndr] è un pericoloso precedente di cui lo Stato d’Israele si pentirà nel futuro. Israele non deve ricompensare i terroristi che hanno provato a ferire il nostro esercito di difesa”.
Il ministro ha poi rivolto la sua attenzione ai due soldati uccisi durante l’offensiva israeliana “Margine Protettivo” i cui corpi sono ancora nelle mani di Hamas. “Finché la Turchia controlla il movimento islamico – ha dichiarato – dovrebbe fare tutto il possibile per far sì che Oron Shaul e Hadar Goldin possano ritornare in Israele”. A tal proposito, il premier Netanyahu aveva inviato ieri una lettera al presidente turco Recep Tayyip Erdogan chiedendogli di intercedere presso Hamas così da risolvere questa spinosa questione. Troppo poco per i familiari di Goldin che, in una nota, hanno fatto sapere che l’intesa tra Ankara e Tel Aviv “abbandona”, nei fatti, i due militari nella mani palestinesi.
Casa Ebraica non è stata l’unica formazione politica a protestare per l’intesa annunciata ieri da israeliani e turchi. Il “no” pronunciato oggi da Shaked e Bennet era stato infatti anticipato ieri con motivazioni pressocché simili dal neo ministro della Difesa, Avigdor Lieberman. La contrarietà del triunvirato estremista non costituirà comunque un ostacolo al premier Netanyahu. Il gabinetto di sicurezza che domani voterà l’accordo – passo necessario affinché il testo dell’intesa arrivi alla Knesset dove, se approvato, entrerà in vigore entro 15 giorni – è costituito da 10 ministri del governo la cui maggioranza è favorevole all’azione di pacificazione voluta dal primo ministro.
Tuttavia, le proteste di questi giorni riportano nuovamente al centro del dibattito la battaglia intestina in corso nel governo tra l’area del Likud apparentemente più moderata rappresentata dal premier (necessaria per non destare troppi allarmi nella comunità internazionale) e quella più oltranzista ed estremista megafono delle istanze coloni e del radicalismo ebraico incarnata da partiti come Casa Ebraica, Yisrael Beitenu e dalle correnti più radicali in seno pure allo stesso Likud di Netanyahu.
Il rifiuto di Lieberman è politicamente interessante: il neo ministro è stato accolto nell’esecutivo poche settimane fa (a discapito del più “moderato” Ya’alon) nel tentativo di dare una maggioranza più forte e stabile all’esecutivo. Una mossa che sembrerebbe rivelarsi ora controproducente: invece di rafforzare l’esecutivo potrebbe alla lunga indebolirlo, lacerarlo e, chissà, segnarne una sua fine prematura (al momento, però, lontana).
Sull’accordo turco-israeliano è molto ambigua la posizione di Hamas. Il movimento islamico ha ieri lodato il governo turco per “il suo sforzo ufficiale e popolare per rimuovere il blocco di Gaza”. In un comunicato gli islamisti si dicono convinti che Ankara continuerà ad esercitare pressioni sullo stato ebraico affinché Tel Aviv ponga fine all’assedio su Gaza e alle sue “aggressioni contro il popolo palestinese, la sua terra e i suoi luoghi sacri”. La normalizzazione diplomatica tra i turchi e gli israeliani è stata descritta “in base alla lunga storia di vicinanza e solidarietà [che Ankara ha con] i palestinesi”.
In realtà dietro le dichiarazioni di facciata necessarie per non inimicarsi uno dei suoi più stretti alleati e per non restare completamente isolata, non è difficile riscontrare tra gli islamisti una malcelata rabbia e delusione per l’accordo: delle tre richieste fatte dai turchi agli israeliani per arrivare ad un compromesso, la fine dell’assedio su Gaza è stato l’unico punto a non essere preso minimamente in considerazione da Israele. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir