Le fiamme hanno devastato l’ospedale Ibn Khatib a Baghdad, dedicato ai malati di Covid-19. Il primo ministro Khadimi sospende il ministro della Salute, ma a monte sta un sistema sanitario collassato, che sconta decenni di guerre, sanzioni e invasioni straniere: mancano sistemi anti-incendio, posti letto, medicine
della redazione
Roma, 26 aprile 2021, Nena News – Ambulanze che correvano sul posto, familiari che sfidavano il fuoco per salvare i propri cari, persone che si lanciavano dalle finestre per salvarsi dalle fiamme: queste le immagini che si sono trovati di fronte i soccorritori durante l’incendio che ha devastato l’ospedale Ibn Khatib vicino al ponte Diyala nella zona sud di Baghdad.
Secondo fonti interne, le fiamme sarebbero scaturite da un serbatoio di ossigeno esploso nella terapia intensiva del nosocomio dedicato ai pazienti malati di Covid-19. Il fuoco si è propagato a grande velocità a causa, spiega la protezione civile, della mancanza di un sistema anti-incendio e di soffitti che hanno permesso che giungesse a prodotti altamente infiammabili.
Almeno 82 i morti, 110 i feriti, ma i numeri potrebbero crescere a causa dell’elevato numero di ustionati gravi. Immediate le reazioni nel paese, già durante colpito dalla pandemia aggravata da un sistema sanitario collassato, nemmeno l’ombra di quello che fu negli anni Settanta e Ottanta, fiore all’occhiello dell’intera regione.
Il primo ministro iracheno Mustafa al-Khadimi ha ordinato l’apertura di un’inchiesta già ieri mattina, chiedendo risultati in 24 ore, per poi sospendere il ministro della salute Hassan al-Tamimi, il direttore dell’ospedale Ibn Khatib, il capo della sicurezza e la squadra di manutenzione, mentre i social si riempivano della stessa richiesta e accusavano il governo di negligenza. Il governatore di Baghdad, Mohammed Javer, ha chiesto al ministero “di creare una commissione d’inchiesta per portare i responsabili di fronte alla giustizia”.
WATCH: Citizens and firefighters search through Ibn al-Khatid hospital in Baghdad, Iraq for survivors after an oxygen tank exploded and caused a massive fire. 82 people died and 110 were injured. https://t.co/3Tlfy1NOY4 pic.twitter.com/QMc0Z0M0HD
— CBS News (@CBSNews) April 26, 2021
“Un crimine contro pazienti esausti a causa del Covid-19, che hanno messo la loro vita in mano alle istituzioni e invece di essere curati sono morti tra le fiamme”, questo il commento dell’Alta commissione irachena per i diritti umani. Ali al-Bayati, capo della Commissione, ha accusato per primo il ministro della Salute parlando con Middle East Eye: “Abbiamo le prove che la maggior parte degli ospedali sono privi di sistemi anti-incendio e non è la prima volta che accade in istituzioni simili. Sfortunatamente il ministero non ha cooperato con noi, in violazione della legge della Commissione numero 53 del 2008″.
A monte sta un sistema sanitario in macerie, mai ricostituito dopo l’invasione americana del 2003 e già provato – prima di allora – da un decennio di durissime sanzioni internazionali contro Baghdad. Negli ospedali mancano dispositivi di emergenza e anti-incendio, strutture moderne e medicinali a sufficienza, squadre giovani e preparate a causa della carenza di investimenti (nel 2019 appena il 2,5% del budget nazionale contro il 18% destinato all’esercito). Interventi importanti non sono arrivati nemmeno con la pandemia, nonostante l’Iraq sia il paese più colpito nel mondo arabo, con oltre un milione di casi e 15.217 morti da febbraio 2020.
Sistema d’avanguardia negli anni ’70 – l’Iraq aveva addirittura una propria industria farmaceutica, con due fabbriche a Mosul e Samara – la sanità irachena oggi sconta decenni di guerre, invasioni, corruzione. Una situazione tanto grave da aver condotto a una vera e propria fuga di professionalità, già denunciata anni fa dalla Mezzaluna rossa: 20mila medici (il 50% del totale) e 52mila specialisti (il 70%) aveva lasciato il paese a causa di paghe basse, 700 dollari al mese, e carenza di medicinali e posti letto. Nena News