Le fazioni curde mettono una data di scadenza al nuovo esecutivo di al-Abadi. Firmato un accordo di 20 punti, condizione alla riconciliazione. Proseguono i raid Usa.
AGGIORNAMENTO ore 11.30 – “OBAMA PRONTO A BOMBARDARE L’ISIS IN SIRIA”
Il presidente statunitense Obama è pronto ad autorizzare bombardamenti contro le postazioni Isis in Siria. Lo hanno rivelato ieri fonti della Casa Bianca, dopo il discorso alla nazione di ieri sera. Da settimane, dopo l’avvio dei raid in Iraq, si parla dell’allargamento della missione alla vicina Siria, dove l’Isis ha occupato intere comunità a nord est del paese. Ma ad oggi i timori di sostenere indirettamente il presidente siriano Assad hanno frenato Washington
AGGIORNAMENTO ore 11.00 – KERRY A BAGHDAD PER INCONTRARE AL-ABADI
Il segretario di Stato Usa Kerry è arrivato oggi in Iraq per incontrare il nuovo premier al-Abadi e discutere della coalizione internazionale anti-Isis. Più tardi volerà a Riyadh dove è prevista per oggi una riunione organizzata dall’Arabia Saudita e che coinvolgerà i paesi arabi.
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di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 10 settembre 2014, Nena News – Un governo nato in caffetteria. Lì si trovava buona parte dei parlamentari curdi al momento del voto di fiducia, lunedì sera, al nuovo governo di unità nazionale iracheno. Tutti in attesa del via libera dei leader riuniti nella città di Sulemaniyah. Alla fine la fiducia è stata incassata, seppur le fazioni curde abbiano condizionato la loro partecipazione agli effettivi risultati dell’esecutivo del premier al-Abadi: tre mesi di tempo altrimenti l’unità cade. Un’impresa complessa per un primo ministro chiamato ad accontentare tutti, i curdi che cercano più autonomia, i sunniti da riagganciare al potere centrale e distogliere dai canti di sirena dell’Isis, gli sciiti gravemente frammentati. E anche gli americani e gli iraniani che su di lui hanno puntato.
Restano in sospeso due dicasteri chiave, Difesa e Interni. L’iniziale proposta del premier, Hadi al-Ameri agli Interni, aveva provocato la rabbia sunnita: Ameri, capo della milizia sciita Badr, ha stretti legami con l’Iran, dalla cui influenza la componente sunnita intende liberarsi. Al-Abadi ha tranquillizzato tutti: in una settimana i due nomi mancanti saranno individuati. La Difesa andrà di certo assegnata, come tradizione vuole, ad un sunnita.
Nella sessione di lunedì sera ha regnato il caos, con il presidente del parlamento al-Juburi che tentava di costringere i parlamentari mancanti a sedersi tra gli scranni del parlamento. A sciogliere i nodi è stato un documento di 20 punti firmato dal premier e dai tre blocchi politici iracheni, con cui l’esecutivo si impegna a cooperare con le tribù, a permettere alle province di formare forze di sicurezza civili che si coordino con l’esercito regolare, a ricostruire le aree distrutte dall’Isis nelle province sunnite e a giungere ad un accordo con la regione autonoma del Kurdistan in merito alle esportazioni autonome di greggio.
Dopo la decisione curda di partecipare, 289 parlamentari su 328 hanno riconosciuto la fiducia al nuovo esecutivo, ai 21 ministri (di cui una donna), al premier al-Abadi e ai tre vice primi ministri (uno sciita, un sunnita e un curdo). Alle fazioni curde sono andati due dicasteri, tra cui lo strategico ministero delle Finanze, assegnato a Roz Nuri Shaways, e una poltrona di vicepremier, assegnata all’ex ministro degli Esteri Zebari. In attesa di ottenere la Difesa, ai sunniti va il ministero della Cultura.
Agli sciiti vanno ministeri chiave: Abed Abdel Mahdi al petrolio e Ibrahim al-Jaafari agli Esteri. Una delle tre poltrone di vicepremier è stata consegnata a Bahaa al Araji, stretto collaboratore del religioso sciita Moqdata al-Sadr, tra i più acerrimi nemici dell’uscente Maliki. Proprio l’ex premier– considerato uno dei principali responsabili della debacle irachena – ha ottenuto luce verde alla nomina a vice presidente.
Il timore che serpeggia è che con Maliki resti al vertice delle istituzioni anche la corrotta rete clientelare che negli ultimi otto anni ha impedito la riconciliazione interna. A partire dalle forze armate, gestite da uomini fedeli all’ex premier, e da alcune milizie sciite da lui fatte fiorire. Per questo Al-Abadi ha preferito garantirgli un posto per evitare che operi ai margini e minacci la riconciliazione, ma resta significativa la decisione di Maliki di non alzare la mano al momento della votazione dell’agenda di governo presentata dal suo successore e incentrata sulla lotta alla corruzione.
«Una pietra miliare», così il segretario di Stato Usa Kerry ha definito il nuovo governo iracheno che ha ricevuto gli auguri della Casa Bianca: in una telefonata con il neo premier al-Abadi, il presidente Obama (che ieri notte ha parlato alla nazione della strategia anti-Isis) si è congratulato per il successo, la formazione di un esecutivo inclusivo delle minoranze curda e sunnita, e ha indirettamente aperto ad un’escalation dell’intervento militare contro l’Isis. L’ampliamento della missione è già iniziato, con i primi raid intorno alla diga di Hatidha e nella provincia sunnita di Anbar, la prima ad essere occupata da al-Baghdadi ma ancora rimasta fuori dal mirino Usa. Ieri bombardamenti sono stati sganciati anche sulla città di Mosul dall’esercito iracheno che ha poi lanciato volantini di avvertimento ai residenti della città di Baiji, nord di Tikrit, sede di uno dei principali giacimenti di petrolio iracheni e da tempo target dell’Isis.
Sul piano internazionale è l’Arabia saudita a ritagliarsi un posto di primo piano nella pacificazione irachena. Riyadh ospiterà oggi a Jeddah un incontro tra Kerry e i ministri degli Esteri dei regimi arabi (Egitto, Giordania, Turchia, Qatar, Kuwait, Oman, Bahrein, Emirati Arabi e la stessa Arabia saudita). Obiettivo, «affrontare la minaccia del terrorismo e le organizzazioni estremiste e [individuare] i mezzi per combatterle», scrive l’agenzia stampa di stato saudita. A leggere la lista dei partecipanti al meeting c’è da storcere il naso: gran parte dei paesi in questione ha avuto un ruolo di primo piano nel finanziamento e l’armamento di quelle organizzazioni oggi considerate nemiche, a partire dal 2003, anno dell’invasione Usa dell’Iraq.