Le fazioni sciite irachene divise sul ruolo dell’Iran: da una parte l’ex premier al-Maliki che ritiene fondamentale il sostegno militare alle milizie sciite, dall’altra Al-Abadi e al-Sadr che guardano rispettivamente agli Stati Uniti e all’Arabia Saudita
di Stefano Mauro
Roma, 1 dicembre 2017, Nena News – Pochi giorni dopo la liberazione di Rawa, l’ultima città-roccaforte di Daesh in Iraq, il primo ministro iracheno Haidar Al Abadi ha annunciato che “le forze irachene hanno battuto lo Stato Islamico solo militarmente, ma la vittoria finale arriverà dopo la disfatta degli ultimi militanti che si sono rifugiati nel deserto”.
La sconfitta di Daesh da tutte le città irachene rappresenta il passaggio da una guerra convenzionale contro i territori dell’Isis ad un conflitto molto più complesso contro un gruppo che agirà prevalentemente con attacchi terroristici. Prova ne è l’attentato dell’altro ieri a Baghdad contro truppe delle Forze di Mobilitazione Popolare (Hashd Shaabi o Pmu) e il relativo aumento di attentati contro obiettivi governativi.
La maggiore preoccupazione di Baghdad in effetti è quella di contrastare e disperdere definitivamente dalla zona desertica della provincia di Anbar, lungo il confine siriano, qualsiasi focolaio di resistenza dell’Isis e qualsiasi tentativo di riorganizzazione da parte delle milizie jihadiste.
Le parole di Abadi intendevano, però, essere anche una risposta polemica agli annunci del presidente iraniano, Hassan Rouhani, relativi alla definitiva sconfitta di Daesh e al ruolo “fondamentale delle truppe iraniane” nel sostenere l’Iraq nella lotta contro l’organizzazione jihadista. Al-Abadi, riferendosi ai recenti contrasti tra Baghdad e Erbil – con gli scontri tra peshmerga ed esercito iracheno dopo il 25 settembre e la dichiarazione d’indipendenza del Kurdistan dall’Iraq – ha posto l’accento “sull’importanza dell’unità nazionale da parte di tutte le etnie e confessioni” perché “come è avvenuto in passato le differenze politiche possono esclusivamente spianare la strada ai gruppi estremisti”.
Le forze politiche irachene sono divise sul sostegno e sul mantenimento dello stesso livello di alleanza con Teheran. Da una parte la corrente politica che è guidata da Nuri Al Maliki, leader del partito Dawa, considerato l’esponente politico più vicino a Teheran: la sua corrente ritiene fondamentale un mantenimento dell’alleanza geopolitica con l’Iran. Secondo molti esponenti del partito l’intervento di Teheran è stato fondamentale per contrastare la deriva jihadista nel paese e preservare l’unità dei territori dalle conquiste di Daesh.
Nel momento di disintegrazione dell’esercito iracheno, infatti, l’Iran ha sostenuto e rifornito quasi tutte le milizie sciite che fanno parte delle Pmu (Brigate Badr, Kataeb Nujaba, Assaib ahl al Haq): formazioni coordinate, armate e addestrate dal battaglione Al Quds del celebre generale Qassem Soleimani. Molti analisti mediorientali hanno commentato che la presenza in questi giorni di Soleimani nelle battaglie di Al Bukamal (Siria) e Rawa (Iraq) avesse un duplice significato: sancire la definitiva sconfitta militare di Daesh e rimarcare il fondamentale supporto iraniano, con Baghdad in debito nei confronti di Teheran.
Dall’altra ci sono altri esponenti politici, come lo stesso presidente Al-Abadi, che vivono i rapporti con Teheran come un’ingerenza nell’identità nazionale. In alcuni casi molti di questi esponenti sono più orientati verso posizioni più filo-occidentali (Usa, Turchia e Arabia Saudita) e godono del sostegno politico ed economico del giovane Mohamed Bin Salman che sta spingendo per allontanare sempre più Baghdad dalla sfera d’influenza di Teheran.
Un esempio concreto sono state le visite a Riyadh del premier Al-Abadi e dello stesso esponente sciita Moqtada Al Sadr. Le manifestazioni di questi ultimi mesi, organizzate prevalentemente dal movimento sadrista, contro le ingerenze straniere, la corruzione e lo smantellamento delle infrastrutture statali avevano anche come slogan “Fuori Teheran, Iraq libero”. L’ambizione iraniana di estendere il proprio modello politico, infatti, inquieta non solo la comunità sunnita, ma anche quella sciita che rivendica uno “sciismo iracheno indipendente e forte” sia dalle influenze di Teheran che da quelle di Washington.
Anche da un punto di vista religioso molti sciiti nella città di Najaf (centro spirituale dello sciismo iracheno), tra cui l’Ayatollah Al Sistani, si oppongono al sistema di governo esistente in Iran, alla dottrina della Vilayat Faqih – nella quale c’è un’unione tra religione e politica incarnata dalla figura di Khamenei – e sono più orientati su uno sciismo più “iracheno” senza nessun tipo di commistione tra sfera religiosa e sfera politica. In questo contesto di divisioni e contrasti, dopo la caduta di Daesh, la futura campagna elettorale per le prossime elezioni nel 2018 e l’avvenire dell’Iraq appaiono inevitabilmente incerti. Nena News