La Guida suprema iraniana ha detto ieri che “forze esterne” hanno cercato di trasformare le “legittime” proteste di fine dicembre in una “insurrezione volta rovesciare la Repubblica Islamica”. Amnesty International lancia l’allarme: “Indagare sui presunti casi di detenuti suicidi”. Il Guardian, intanto, rivela: “Riaperte le indagini sulla morte dell’ex presidente”
di Roberto Prinzi
Roma, 10 gennaio 2018, Nena News – L’Iran ha impedito ai “nemici stranieri” di trasformare le “legittime proteste” di fine dicembre in una insurrezione volta a rovesciare la Repubblica Islamica. Parola della Guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei. “Ancora una volta – ha twittato Khamenei – la nazione [iraniana] dice agli Usa, alla Gran Bretagna e a quelli che cercano di deporre la Repubblica islamica dall’esterno che avete fallito e lo farete ancora nel futuro”.
Khamenei, ribadendo nei fatti quanto già dichiarato domenica dai Guardiani della rivoluzione, ha poi puntato il dito contro il presidente Usa Donald Trump che nei giorni delle mobilitazioni aveva più volte twittato contro il “governo corrotto” di Teheran esprimendo il suo “pieno sostegno al popolo iraniano”. “Questo uomo che siede a capo della Casa Bianca – sebbene sembri un uomo molto instabile – deve capire che questi episodi psicotici ed estremisti non saranno privi di risposta” ha minacciato Khamenei. Ma a essere presi di mira sono anche i dissidenti iraniani dei Mujahedin del popolo e quello che il leader religioso ha definito un “ricco governo” del Golfo riferendosi quasi sicuramente all’Arabia Saudita. E ovviamente tra i “nemici” rientra anche Israele che ha tutto l’interesse nel vedere la Repubblica islamica sciita dilaniata da conflitti interni.
Da parte sua Tel Aviv non fa alcun mistero di voler monitorare la situazione iraniana. In una rara apparizione pubblica, il capo del Mossad (Intelligence israeliana) Yossi Cohen ha detto ieri che “in Iran noi abbiamo occhi e orecchie” spiegando come le proteste, “che probabilmente non rovesceranno la Repubblica islamica”, siano state causate dai fallimenti politici in campo economico del presidente Rouhani. “Non si devono nutrire grandi speranze [di cambiamento], sebbene sarei contento di vedere una rivoluzione significativa” ha poi detto senza troppi fronzoli Cohen.
Nel tentativo di abbassare i toni dei contrasti interni, Khamenei ha aperto ai dissidenti quando ha chiarito che hanno tutto il diritto di esprimere le loro “legittime” preoccupazioni. “Le dobbiamo affrontare. Dobbiamo ascoltare, dobbiamo fornire risposte con i nostri mezzi” ha detto. Un invito alla calma e alla moderazione che contrasta però con il gran numero di arrestati (ufficialmente 1.000, 3.700 secondo il parlamentare iraniano Mahmoud Sadegh) le cui condizioni di detenzione preoccupano (e non poco) le organizzazioni dei diritti umani. Del resto la magistratura è stata chiara: i leader della protesta potrebbero ricevere la pena di morte. Alle tetre eventualità ci sono poi le certezze: ieri un ufficiare giudiziario, riporta il sito web Mizan, ha detto che un detenuto di Arak (200 km a sud di Teheran) “si è suicidato”. Stessa sorta sarebbe toccata il giorno prima ad un recluso del carcere di Evin a Teheran.
Non crede però alla versione ufficiale Amnesty International (AI) secondo cui almeno 5 manifestanti recentemente arrestati dalle autorità iraniane sono morti mentre erano in stato di detenzione (22, invece, i dimostranti uccisi durante le proteste iniziate il 28 dicembre). Tra questi vi sarebbero Vahid Heydari, Mohsen Adeli e Sina Ghanbari (23 anni). Quest’ultimo, spiega l’ong britannica, sarebbe morto in circostanze poco chiare dopo essere stato messo in quarantena nel carcere di Evin (è il secondo caso del genere registrato in questa prigione).
AI chiede al governo iraniano di indagare sulla sua morte (per le autorità è un suicidio). “Il velo di segretezza e la mancanza di trasparenza su quello che accade a questi detenuti è allarmante”, ha detto Magdalena Mughrabi, vice direttrice di Amnesty per il Medio Oriente e Nord Africa. “Invece di affrettarsi a dire che si sono suicidati – ha aggiunto – le autorità devono aprire una inchiesta indipendente, imparziale e trasparente che preveda autopsie indipendenti”. Nel corso degli anni, ha spiegato Mughrabi, la ong “ha documentato condizioni da incubo all’interno delle strutture detentive iraniane, anche per l’uso della tortura”. Preoccupato è il parlamentare Sadeghi che ha chiesto al presidente Rouhani di impedire che accada una nuovo Kahrizak (la prigione che balzò alle cronache durante le proteste del 2009 quando diversi detenuti furono qui torturati e uccisi).
Intanto, a un anno dalla sua morte, il quotidiano Guardian ha rivelato ieri che l’Iran ha riaperto l’indagine sulla morte dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani. Al giornale britannico, il figlio maggiore di Rafsanjani, Yaser Hashemi, ha infatti detto che Rouhani ha dato l’ok per rivedere il caso dopo aver rifiutato un rapporto sul decesso del padre condotto dal Consiglio di sicurezza nazionale suprema della Repubblica Islamica (SNSCI). Rafsanjani morì a 82 anni esattamente un anno fa. Ufficialmente per infarto. Tuttavia, un recente esame sul suo corpo ha trovato valori di radioattività 10 volte più alti rispetto a quelli ritenuti normali per gli esseri umani. Il Guardian scrive inoltre che sono stati prelevati anche campioni di sangue ai membri della famiglia dell’ex presidente per confrontare i risultati dei test con quelli trovati sul corpo del deceduto. I dati finora ottenuti dimostrano che anche sua figlia Fatima ha livelli di radioattività più alti del normale. “C’è unanimità all’interno della famiglia – ha confessato un familiare al quotidiano inglese – che [Rafsanjani] sia stato ucciso o almeno non sia morto per cause naturali”.
Rafsanjani, stretto collaboratore di Khomeini e dell’attuale Guida suprema Khamenei, è stato capo dello Stato dal 1989 al 1997. Alla guida dell’esercito durante la sanguinosa guerra con l’Iraq negli anni 80, fu tra i principali protagonisti del programma nucleare iraniano anche se giunse in seguito a riconciliarsi con l’Occidente. I giudizi politici su di lui sono contrastanti. Sebbene sia stato visto come un protettore dei moderati (è stato un grande sostenitore dell’attuale presidente riformista), molti hanno invece sottolineato come abbia accumulato ingenti quantità di ricchezze sfruttando le falle di un sistema politico locale non sempre trasparente.
La sua presidenza, giudicata positivamente nelle stanze del potere europee e statunitense, ha avuto diverse zone d’ombra: nei suoi otto anni alla guida del Paese è stato infatti accusato di avere ucciso e imprigionato vari dissidenti politici. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir