Le autorità bosniache hanno bloccato il presunto tentativo di un’azienda di vendere a Teheran materiale utile per il suo programma nucleare, aggirando le sanzioni imposte da Usa e Unione Europea. Sanzioni che oggi, con la crisi dovuta al coronavirus, stanno ulteriormente devastando il sistema sanitario iraniano
di Marco Siragusa
Roma, 27 marzo 2020, Nena News – Lunedì 16 marzo il ministro della Sicurezza bosniaco Fahrudin Radončić ha denunciato pubblicamente, con una storia su Instagram, il raggiungimento di un accordo tra l’azienda Alumina, con sede nella città di Zvornik nella Republika Srpska (una delle due entità che formano la Bosnia-Erzegovina), e i rappresentanti del governo iraniano.
L’accordo, che sarebbe stato discusso nell’ambasciata iraniana a Sarajevo, prevedeva la vendita di polvere di ossido di alluminio da utilizzare nel programma nucleare di Teheran. Così come accade spesso per la vendita di armi soggette a embargo, per aggirare le sanzioni imposte da Usa e Unione Europea nei confronti del governo iraniano, il carico sarebbe dovuto giungere a destinazione grazie all’intermediazione di imprese turche e pakistane. In questo modo Alumina avrebbe potuto dimostrare di aver venduto il materiale in maniera legale e rispettando le regole internazionali.
Informato dai servizi segreti, il ministro Radončić ha immediatamente riferito la notizia a Milorad Dodik, membro serbo della presidenza tripartita bosniaca. Dodik, a sua volta, ha contattato i rappresentanti di Alumina intimando loro di bloccare la vendita e tagliare i rapporti commerciali con l’Iran. Secondo Dodik, l’accordo avrebbe inutilmente esposto il paese a pesanti critiche e al rischio di una multa per il mancato rispetto del regime sanzionatorio a cui anche la Bosnia aderisce.
I dirigenti di Alumina, pur riconoscendo di aver incontrato vertici dell’ambasciata iraniana, hanno respinto qualsiasi accusa di vendita illegale di materiale nucleare. Raggiunta dal The Jerusalem Post, la società ha parlato di “un incontro di cortesia” e che i membri dell’ambasciata iraniana sono stati informati dell’impossibilità di concludere qualsiasi transazione.
Appena poche settimane fa, il 20 febbraio scorso, l’ambasciatore iraniano a Sarajevo, Mahmoud Heydari, aveva incontrato il ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni della Bosnia ed Erzegovina Vojin Mitrović, ribadendo la necessità di rafforzare i legami commerciali tra i due paesi e la possibilità per gli uomini d’affari bosniaci di utilizzare l’Iran come porta d’accesso per i mercati del Golfo Persico.
Secondo quanto previsto nel 2015 dal Piano d’azione congiunto globale (Pacg), il cosiddetto “accordo sul nucleare iraniano”, Unione Europea e Stati Uniti si impegnavano a eliminare quasi totalmente le restrizioni economiche e le sanzioni nei confronti di Tehran. Nel maggio 2018 però il presidente Trump ha annunciato il ritiro del sostegno statunitense all’accordo e il ripristino, a partire dal mese di agosto, delle sanzioni revocate precedentemente.
Le sanzioni hanno, tra le altre cose, importanti ricadute anche sulla capacità di acquisto di materiale sanitario e medico. Secondo un rapporto elaborato da Human Rights Watch nell’ottobre 2019, poco prima dello scoppio dell’emergenza coronavirus, il 70% delle attrezzature mediche del paese (compresi i letti) è di importazione e almeno 240 farmaci, sui 433 importati, rientrano nell’elenco dei medicinali essenziali stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).
Nel rapporto si legge inoltre che “le banche e le istituzioni finanziarie di altri paesi sembrano preoccupate dal rischio di autorizzare qualsiasi attività commerciale con l’Iran per paura di incorrere in sanzioni statunitensi, nonostante le esenzioni per il commercio umanitario”. Non sorprende quindi la difficoltà del governo iraniano di contrastare efficacemente l’avanzata del coronavirus nel paese in queste settimane. Nena News