La nostra rubrica del sabato sul continente africano vi porta anche in Rwanda dove lo scorso settembre è stato ucciso l’oppositore Sylidio Dusabumuremyi. Premio Nobel per la pace per il premier etiope Abiy Ahmed per aver raggiunto la pace con l’Eritrea
di Federica Iezzi
Roma, 12 ottobre 2019, Nena News –
Mauritius
Il primo ministro delle isole Mauritius, Pravind Kumar Jugnauth, ha proclamato lo scioglimento del parlamento e ha annunciato elezioni generali il mese prossimo.
Il Paese, popolare destinazione turistica, è una delle nazioni più stabili dell’Africa, tiene elezioni regolari ogni cinque anni.
Per legge, il Paese ha tra i 30 e i 150 giorni per organizzare le elezioni dopo che il primo ministro scioglie il parlamento.
Jugnauth, 57 anni, anche ministro delle finanze, cercherà un altro mandato come leader del Mouvement Socialiste Militant. Ha ricoperto la carica di Primo Ministro dal 2017 quando ha assunto il posto di suo padre, Anerood Jugnauth.
La politica mauriziana è stata dominata da un piccolo numero di famiglie indù dall’indipendenza nel 1968, con gli ultimi 40 anni segnati dalla stabilità e dalla costante crescita economica che ha spinto l’isola nelle file dei Paesi a medio reddito.
Camerun
Maurice Kamto, il principale leader dell’opposizione del Camerun, è uscito di prigione nove mesi dopo il suo arresto per aver condotto proteste contro un risultato elettorale che aveva denunciato come fraudolento.
Un tribunale militare nella capitale del Paese, Yaoundé, ha ordinato la liberazione dell’ex candidato per volere dell’attuale presidente Paul Biya, sottoposto a forti pressioni internazionali per la dura repressione ai danni dei partiti di opposizione.
Il 65enne leader dell’opposizione era stato processato lo scorso settembre, insieme a decine di altri, con l’accusa di insurrezione, ostilità nei confronti della madrepatria e ribellione, crimini che avrebbero potuto comportare la pena di morte.
Biya ha ordinato la sospensione dei procedimenti pendenti dinanzi ai tribunali militari contro alcuni funzionari e militanti di partiti politici, in particolare del Cameroon Renaissance Movement.
Rwanda
Lo scorso settembre il politico dell’opposizione Sylidio Dusabumuremyi, coordinatore nazionale delle Forces Democratiques Unifiees (FDU-Inkingi) è stato ucciso, in condizioni non chiare.
Questi incidenti fanno parte di una serie di omicidi e sparizioni forzate di oppositori e critici del presidente Kagame avvenuti negli ultimi anni. Sebbene non sia stato stabilito alcun legame diretto tra il presidente Kagame e questi omicidi e sparizioni, le organizzazioni per i diritti umani hanno ripetutamente criticato il governo per il suo trattamento pesante ai danni dell’opposizione e per l’incapacità di indagare sugli omicidi politici.
Tuttavia, il presidente Kagame gode ancora di un enorme sostegno pubblico, come portatore di pace e stabilità, in un Paese spezzato dal genocidio.
Da quando il suo gruppo ribelle prese il potere con la forza, ponendo fine al genocidio dell’aprile 1994, ha lottato per una intensa trasformazione economica del Paese e per abbattere la corruzione. Ha aperto il paese agli affari, promosso la crescita di nuovi settori economici e migliorato la sua burocrazia. Ha impiegato gli aiuti esteri con prudenza e ha usato saggiamente le risorse naturali del Rwanda. Ha spinto al maggior numero di donne in carica politica, il 64% dei legislatori nel parlamento del Rwanda oggi sono donne, la percentuale più alta di qualsiasi Paese al mondo.
Nel 2015, i rwandesi hanno votato in modo schiacciante un emendamento della costituzione attraverso il quale consentire al presidente di rimanere potenzialmente al potere fino al 2034.
Soffocando il dissenso e lasciando che gli omicidi dei suoi avversari politici rimangano irrisolti, oggi Kagame sembra mettere tutto questo a rischio percorrendo un percorso di autoritarismo.
Forse agli occhi di Kagame, solo pochi decenni dopo un genocidio che costò 800.000 vite, una democrazia veramente pluralista rappresenta un rischio troppo grande per la sicurezza e la stabilità del Paese.
Etiopia
Il Comitato Nobel norvegese ha deciso di assegnare il Premio Nobel per la pace per il 2019 al Primo Ministro etiope Abiy Ahmed Ali per i suoi sforzi atti a raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea.
Quando Abiy Ahmed è diventato Primo Ministro nell’aprile 2018, ha chiarito che desiderava riprendere i colloqui di pace con l’Eritrea. In stretta collaborazione con Isaias Afwerki, il presidente dittatore dell’Eritrea, Abiy Ahmed ha elaborato i principi di un accordo di pace per porre fine al lungo stallo tra i due Paesi.
Questi principi sono enunciati nelle dichiarazioni che il primo ministro Abiy e il presidente Afwerki hanno firmato ad Asmara e Jedda lo scorso luglio e settembre.
La normalizzazione delle relazioni tra l’Eritrea e l’Etiopia risulta più apparente che reale.
Abiy da Primo Ministro ha sollevato lo stato di emergenza del Paese, concedendo l’amnistia a migliaia di prigionieri politici, interrompendo la censura dei media, legalizzando i gruppi di opposizione illegali, licenziando leader militari e civili sospettati di corruzione e aumentando significativamente l’influenza di donne nella vita politica e comunitaria etiope
Sulla scia del processo di pace con l’Eritrea, il Primo Ministro Abiy, appoggiato e guidato da Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita, si è impegnato in altri processi di pace e riconciliazione nell’Africa orientale e nordorientale. Nena News
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