Nella nostra rubrica settimanale sull’Africa vi segnaliamo anche la condanna all’ergastolo di un responsabile del genocidio del 1994 in Rwanda e la denuncia per violazione dei diritti umani delle forze di sicurezza in Etiopia
Sudan
Il Sudan ha respinto la proposta etiope di riprendere le trattative negoziate dagli Stati Uniti, per la costruzione di una controversa diga sul Nilo, Grand Ethiopian Renaissance Dam, nella regione di Benishangul-Gumuz in Etiopia. Il Primo Ministro del Sudan, Abdalla Hamdok, ha dichiarato di essersi rifiutato di firmare l’accordo parziale per il riempimento della diga, a causa dell’assenza di una pianificazione coordinata e dell’assenza di elementi tecnici e giuridici legati all’impatto ambientale e sociale della diga stessa.
Il Sudan e l’Egitto temono che la contestata diga da 4,6 miliardi di dollari intrappoli le loro riserve idriche essenziali.
In un documento alla sua controparte etiope, Hamdok ha anche sottolineato la necessità di raggiungere un accordo tra Egitto, Sudan ed Etiopia prima del completamento del progetto. Le tensioni sono aumentate nel bacino del Nilo da quando l’Etiopia è entrata nel progetto nel 2011. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e la Banca Mondiale sono intervenuti come osservatori l’anno scorso per facilitare i colloqui tra i tre Paesi dopo che i negoziati hanno ripetutamente fallito.
Rwanda
Un tribunale rwandese ha condannato all’ergastolo un ex politico ritenuto colpevole di aver programmato l’uccisione di decine di migliaia di persone, durante il genocidio del 1994 nel Paese.
Ladislas Ntaganzwa, ex sindaco di Nyakizu, nel Rwanda meridionale, è stato incriminato nel 1996 dal Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda, con base a Arusha in Tanzania, con l’accusa di incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, omicidio e stupro. Il tribunale è stato chiuso cinque anni fa ed è stato sostituito da un organo successore, l’International Residual Mechanism for Criminal Tribunals.
L’accusa del tribunale contro Ntaganzwa è quella di aver complottato per sterminare la popolazione tutsi e aver ordinato personalmente il massacro di oltre 25.000 civili tutsi e hutu moderati, nella città di Nyakizu, nell’aprile 1994.
Ntaganzwa è stato arrestato nel dicembre 2015 nella Repubblica Democratica del Congo. Il Rwanda lo ha preso in custodia a marzo 2016. La condanna arriva poco dopo che Felicien Kabuga, ricco uomo d’affari e ideatore di propaganda e massacri contro la popolazione tutsi nel 1994, è stato arrestato in Francia dopo 25 anni di fuga. E dopo la notizia della morte dell’ex Ministro della Difesa Augustin Bizimana, altro progettista del genocidio. Protais Mpiranya, ex comandante della Guardia Presidenziale delle forze armate rwandesi, risulta invece ancora latitante.
Etiopia
Secondo l’ultimo report redatto da Amnesty International, ‘Beyond law enforcement. Human rights violations by ethiopian security forces in Amhara and Oromia’, le forze di sicurezza etiopi continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani, comprese esecuzioni extragiudiziali e torture, da quando il Primo Ministro Abiy Ahmed ha conquistato il potere nel 2018.
Nella sua ultima relazione, il gruppo di difesa dei diritti umani, ha documentato le detenzioni arbitrarie di migliaia di persone e gli sfratti forzati di decine di famiglie dalle loro abitazioni, durante le operazioni di sicurezza, in risposta agli attacchi di gruppi armati e violenza intercomunitaria in alcune aree delle regioni di Amhara e Oromia.
Abiy ha introdotto una serie di riforme radicali, tra cui la concessione di amnistia a migliaia di prigionieri politici e l’abrogazione di leggi drastiche, da quando è salito al potere nell’aprile 2018. Il mandato di Abiy è stato anche afflitto da conflitti etnici, con centinaia di migliaia di civili sfollati internamente, in un peggioramento della situazione della sicurezza.
Il rapporto di Amnesty International documenta una serie di presunti abusi in Oromia, regione centro-meridionale etiope, dove le forze di sicurezza stanno conducendo una campagna contro l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA), frangia armata del Fronte di Liberazione Oromo (OLF), oggi uno dei partiti dell’opposizione.
Almeno 10.000 persone sospettate di sostenere l’OLA sono state arrestate dalle forze di sicurezza in cicli di detenzione di massa iniziati nel gennaio 2019. E almeno 39 persone sono state giustiziate in via stragiudiziale tra le crescenti tensioni nel Guji, nella regione di Oromia.
Ad Amhara, regione dell’Etiopia centro-settentrionale, invece, almeno 130 persone sono state uccise in conflitti intercomunitari, in cui le forze di sicurezza sono state complici, sia per coinvolgimento attivo che per incapacità di proteggere le comunità colpite.
L’Organizzazione Non Governativa ha affermato che la polizia regionale, la milizia e i gruppi di vigilanza locali hanno effettuato numerosi attacchi contro l’etnia Qemant, provocando decine tra morti e feriti e centinaia di sfollati. Nena News
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