Le forze tigrine a poco più di 300 km da Addis Abeba. Il premier Abiy Ahmed si appella alla popolazione perché prenda le armi, ma crescono le voci di una sua possibile fuga all’estero. Poteri speciali alle forze di sicurezza, mentre l’Onu accusa entrambe le parti di crimini di guerra
di Marco Santopadre
Roma, 4 novembre 2021, Nena News – Non sembrano essere serviti a molto gli appelli fin qui rivolti dal premier Abiy Ahmed ai cittadini affinché imbraccino le armi contro il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray (Tplf) in un disperato tentativo di bloccarne la marcia verso la capitale.
Anzi, l’ultimo appello del premio Nobel per la Pace del 2019, che esattamente un anno fa aveva lanciato le forze armate etiopi ed eritree in una manovra a tenaglia contro il movimento politico e militare della regione settentrionale, ha reso patente quanto fosse grave la situazione. Secondo varie fonti negli ultimi giorni diverse unità dell’esercito federale avrebbero disertato o si sarebbero arrese senza combattere.
Nonostante i continui bombardamenti del capoluogo tigrino Mekelle e di altre località del nord da parte dell’aviazione federale, negli ultimi giorni la guerriglia del Tplf ha continuato la sua avanzata conquistando nuove città ed avvicinandosi al centro del paese.
Secondo alcuni media locali, lo stesso primo ministro – riconfermato dopo le plebiscitarie elezioni di luglio – starebbe subendo forti pressioni per lasciare l’Etiopia da parte di alcuni ambienti che sperano così di riuscire a convincere la guerriglia tigrina a rinunciare alla conquista della capitale, che a detta del movimento ribelle dovrebbe servire esclusivamente a rimuovere Ahmed dal potere e porre fine all’assedio del proprio territorio. Secondo alcuni analisti la presa di Addis Abeba potrebbe ormai essere questione di poche settimane.
Martedì il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza nazionale per i prossimi sei mesi, concedendo poteri speciali alle forze di sicurezza federali e accentrando ulteriormente il potere nelle mani dell’esecutivo nel tentativo di bloccare l’avanzata della guerriglia che ormai si trova a 325 km da Addis Abeba (anche se secondo alcune fonti le sue avanguardie si troverebbero già alla periferia della capitale).
Il provvedimento consente alle autorità di arrestare arbitrariamente chiunque sia sospettato di collaborare con “gruppi terroristici”. Ahmed ha anche invitato gli abitanti della capitale a difendere la città in caso di invasione mentre la maggior parte del personale diplomatico straniero cominciava ad abbandonare il paese.
A poche settimane dall’inizio del cruento conflitto, nell’autunno del 2020, le forze federali supportate da quelle eritree sembravano essere riuscite nell’intento di sbaragliare la guerriglia tigrina, e Ahmed aveva pomposamente festeggiato il successo. Che però si è rivelato effimero: dopo aver frettolosamente abbandonato Mekelle e le altre città del Tigray quasi senza opporre resistenza alle forze federali, i guerriglieri si sono rifugiati nelle zone montuose e impervie della regione per poi riorganizzarsi e tornare all’attacco, forti anche di alcune alleanze strette con altri movimenti di opposizione al partito del primo ministro.
La controffensiva del Tplf ha portato la guerriglia ad una rapida riconquista del Tigray (giugno) e poi alla conquista di importanti fette del territorio dei limitrofi stati di Afar e Amhara. Ad imprimere la svolta all’andamento del conflitto che nelle settimane scorse sembrava essere entrato in stallo, è stata la conquista da parte dei tigrini di Dessiè e Kombolcha, due città strategiche nello stato regionale di Amhara, avvenuta lo scorso fine settimana al termine di pesanti combattimenti.
Ahmed ha commentato l’esito della cruenta battaglia minimizzando la perdita di Dessiè, e accusando non meglio identificate “forze straniere” di combattere nei ranghi del Tplf per trasformare l’Etiopia in una nuova Libia o in una nuova Siria. «Vogliono distruggere un Paese, non costruirlo» aveva detto Ahmed invitando gli etiopi alla mobilitazione.
Un discreto sostegno all’avanzata dei tigrini lo starebbero dando le milizie dell’Esercito di Liberazione Oromo (Ola), alleatosi con il Tplf nell’agosto scorso, che hanno annunciato la conquista di alcune località a sud di Kombolcha, tra cui Kemissie.
Il conflitto, che doveva servire al premier Ahmed a rafforzare la propria leadership sbaragliando l’unico movimento politico organizzato e radicato che gli si opponeva in nome del rifiuto della centralizzazione e della nazionalizzazione di uno stato costituito da regioni gelose della propria autonomia, ha causato un crescente ostilità dell’occidente per colui che fino ad un certo punto aveva considerato un suo beniamino.
Gli Stati Uniti hanno gradualmente aumentato il tono della condanna nei confronti della strategia di Addis Abeba, e mercoledì il dipartimento di Stato ha escluso Etiopia ed Eritrea dall’elenco dei paesi destinatari delle esportazioni di armi a stelle e strisce, revocando anche le agevolazioni commerciali finora concesse al paese. L’inviato degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, ha annunciato il suo arrivo ad Addis Abeba con l’obiettivo di convincere le fazioni belligeranti ad una soluzione negoziale.
Da parte sua, la portavoce del Ministero degli Esteri di Mosca Maria Zakharova ha affermato di seguire con preoccupazione la situazione in Etiopia ed ha invitato tutte le parti in conflitto a raggiungere quanto prima un accordo sul cessate il fuoco. Come gli Usa, anche l’Unione Europea ha alzato i toni contro Ahmed minacciando sanzioni come strumento di pressione contro la sistematica violazione dei diritti umani da parte del governo federale.
Ma l’ultimo rapporto congiunto redatto dalla Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc) e dall’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite traccia un quadro drammatico accusando tutte le parti in causa di aver compiuto atrocità e crimini di guerra. Il rapporto documenta esecuzioni extragiudiziali, torture, stupri, saccheggi, arresti arbitrari e attacchi contro rifugiati e sfollati compiute da entrambe le fazioni.
Il rapporto descrive nel dettaglio come un gruppo di milizie giovanili del Tigrè – noto come Samri – abbia ucciso più di 200 civili di etnia amhara a Mai Kadra nel novembre dello scorso anno, e di come nella stessa città siano stati poi commessi omicidi per vendetta contro membri di etnia tigrina. Il rapporto riferisce poi che nel novembre del 2020 militari eritrei hanno ucciso più di 100 civili ad Axum, nel Tigrè centrale. Di fatto il documento dell’Onu accusa le forze eritree di essere le “principali responsabili delle violazioni dei diritti umani” in Etiopia.
L’andamento del conflitto non può non preoccupare il governo di Pechino, che negli ultimi anni è diventato il più stretto alleato del governo etiope. Più volte nel corso del conflitto la guerriglia tigrina e fonti indipendenti hanno accusato l’esercito etiope e quello eritreo di utilizzare droni cinesi.
La Cina considera l’Etiopia un hub cruciale per la “Nuova via della seta” (Belt and Road iniziative). Sono in buona parte alcune banche cinesi a finanziare la Grande Diga della Rinascita Etiope (Gerd) attraverso la quale Addis Abeba intende deviare il corso del Nilo per irrigare milioni di ettari di terre coltivabili e trasformare il paese in uno dei principali produttori di energia elettrica del continente africano, suscitando l’opposizione di Egitto e Sudan.
Paradossalmente il progetto nazionalista e modernizzatore del giovane premier Abiy Ahmed, mirante a centralizzare e uniformare il paese rimuovendo le tradizionali diversità regionali, sembra aver portato l’Etiopia sull’orlo del baratro e rischia di produrre una balcanizzazione del paese che neanche una eventuale vittoria del Tplf potrebbe placare.