Da 100 giorni il noto difensore dei diritti umani emiratino è in cella perché accusato di “settarismo e odio sui social media”. Wikileaks, intanto, pubblica un cablogramma secondo cui il principe ereditario Mohammed bin Zayed suggerì agli Usa di bombardare al-Jazeera poco prima dell’invasione in Iraq del 2003
della redazione
Roma, 29 giugno 2017, Nena News – Otto associazioni umanitarie e 18 noti intellettuali internazionali (tra cui Noam Chomsky) insieme per chiedere l’immediato e incondizionato rilascio del noto attivista emiratino Ahmed Mansour a 100 giorni dal suo arresto. Mansour, si legge in una loro lettera pubblicata martedì, sarebbe in isolamento, non avrebbe diritto ad un avvocato e non gli sarebbero garantite le telefonate dei suoi familiari. Arrestato a marzo per aver diffuso “settarismo e odio sui social media” (così riferì allora l’agenzia di stato Wam), i motivi della sua detenzione continuano a destare indignazione. “Le accuse contro di lui derivano semplicemente dal fatto che ha esercitato il suo diritto alla libertà di espressione e, pertanto, lo riteniamo un prigioniero di coscienza” si legge nella lettera. “La continua reclusione di attivisti dei diritti umani di così alto profilo e rispettati internazionalmente – denunciano i promotori dell’iniziativa – sta profondamente danneggiando la reputazione del governo degli Emirati Arabi Uniti (EAU)”.
Mansour, un ingegnere elettrico premiato lo scorso anno con il prestigioso riconoscimento “Martin Ennals” per aver denunciato gli arresti arbitrari, i casi di tortura e la mancanza di indipendenza dell’apparato giudiziario nel suo Paese – è stato arrestato lo scorso 20 marzo da 12 agenti in borghese nella sua casa ad Abu Dhabi. Portato prima in una località sconosciuta, affermano gli autori della lettera, sarebbe stato poi trasferito nella prigione di al-Sadr. L’ong Amnesty International (AI) sostiene che il detenuto avrebbe ricevuto solo una breve visita dei familiari il 3 aprile nell’ufficio del procuratore.
A marzo l’agenzia statale Wam, citando la procura, ha riferito che Mansour è colpevole di “aver pubblicato informazioni false e per aver promosso un’agenda settaria che istiga all’odio sui social network”. “I suoi post – ha riportato allora la Wam – danneggiano l’unità nazionale e l’armonia sociale colpendo la reputazione del Paese”.
Ma i problemi con la legge per l’ingegnere emiratino non nascono quest’anno: durante le rivolte arabe del 2011, Mansour, membro del Centro del Golfo per i diritti umani ed esponente della commissione consultiva dell’ong Human Right Watch, fu condannato insieme a 4 attivisti per aver “insultato i leader del Paese”. Fu poi in seguito rilasciato. “Negli ultimi anni, a causa del duro giro di vite [operato dalle autorità locali] contro gli attivisti e gli oppositori del governo, Ahmed Mansour è stato uno degli ultimi a denunciare le violazioni dei diritti negli Emirati – dichiarò a marzo Amnesty. “Proprio per il suo pacifico lavoro – aggiunse l’organizzazione non governativa britannica – ha subito ripetute intimidazioni, molestie, aggressioni fisiche e minacce di morte da parte delle autorità locali e dei suoi sostenitori. Almeno dal 2011 è stato posto sotto sorveglianza elettronica e fisica. Il suo computer e i suoi account di posta elettronica sono stati violati”.
La dura punizione subita da Mansour per i suoi “crimini” non deve sorprendere. Intervistato l’altro giorno dal The Guardian sulla richiesta di chiusura della tv panaraba al-Jazeera per via dell’embargo contro lo stato qatariota accusato di sostenere il “terrorismo” e per la sua vicinanza all’Iran, l’ambasciatore emiratino in Russia, Omar Ghobash, è stato chiaro: “Noi non sosteniamo di avere una stampa libera. Non promuoviamo l’idea della stampa libera. Noi parliamo di responsabilità nel parlare”. Ghobash ha provato a chiarire il suo punto di vista: “La libertà d’opinione ha diversi vincoli nei differenti paesi. Parlare in una parte del mondo ha un suo contesto particolare che può passare rapidamente dal pacifico al violento semplicemente attraverso le parole che sono utilizzate”. Il diplomatico ha anche aggiunto che i paesi che hanno deciso recentemente di imporre l’embargo a Doha (principalmente Arabia Saudita, Bahrain, Emirati e Egitto) starebbero pensando di sanzionare anche gli stati che commerciano con il Qatar.
Che ad Abu Dhabi non piacciano tanto i media, soprattutto al-Jazeera, sembrerebbe essere dimostrato anche da un’altra vicenda. Secondo Wikileaks, infatti, poco prima della guerra in Iraq del 2003 il principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed, avrebbe chiesto ad un alto diplomatico statunitense del dipartimento di Stato di bombardare la rete televisiva qatariota.
Nel cablogramma pubblicato dall’organizzazione, il principe avrebbe ricordato a Richard Hass di una conversazione avvenuta tra suo padre (shaykh Zayed) e l’allora emiro del Qatar (Hamad al-Thani) durante la quale quest’ultimo si lamentò del fatto il figlio del regnante emiratino aveva chiesto agli Usa di “bombardare “ al Jazeera. Mohammed bin Zayed, infatti, aveva avvisato gli americani che l’opinione pubblica nel mondo arabo poteva essere fortemente condizionata dalla copertura della tv qatariota e aveva perciò suggerito agli alleati d’oltreoceano di contenerla. Nena News