Un tribunale di Abu Dhabi ha condannato ieri il noto difensore per i diritti umani per aver “insultato lo status e il prestigio” degli Emirati. Lo scorso giugno otto associazioni umanitarie e 18 importanti intellettuali internazionali (tra cui Noam Chomsky) lanciarono un appello per chiedere il suo immediato e incondizionato rilascio
della redazione
Roma, 1 giugno 2018, Nena News – Un tribunale di Abu Dhabi ha condannato ieri l’attivista emiratino Ahmad Mansour a 10 anni di carcere e a pagare una multa di 275.000 dollari per aver insultato “lo status e il prestigio degli Emirati Arabi Uniti e i suoi simboli” diffondendo false notizie sul Paese. Secondo i media locali, inoltre, Mansour sarà sorvegliato per tre anni dopo il suo rilascio. L’attivista 48enne, riferisce la stampa, è stato però scagionato dall’accusa di aver fatto parte di una “organizzazione terroristica”.
La sentenza ha subito scatenato le proteste della ong statunitense Human Rights Watch che, con la sua portavoce Sarah Leah Whitson, ha detto che la condanna per diffamazione ricevuta da Mansour rappresenta “tutto quello che bisogna sapere sulla brutalità e repressione degli Emirati al di là della sua faccia dorata”.
Mansour, un ingegnere elettrico premiato lo scorso anno con il prestigioso riconoscimento “Martin Ennals” per aver denunciato gli arresti arbitrari, i casi di tortura e la mancanza di indipendenza dell’apparato giudiziario nel suo Paese, è stato arrestato lo scorso 20 marzo da 12 agenti in borghese nella sua casa ad Abu Dhabi. Portato prima in una località sconosciuta, sarebbe stato poi trasferito nella prigione di al-Sadr.
Il suo “crimine”? Aver usato i social network “per diffondere notizie false, idee tendenziose che avrebbero incoraggiato la sedizione, il settarismo e l’odio”. Non solo: l’agenzia Wam, allora riportò anche che tra i “reati” commessi da Mansour vi era anche quello di aver danneggiato “l’unità nazionale, la pace sociale e la reputazione dello stato”.
A 100 giorni dal suo arresto, lo scorso giugno, otto associazioni umanitarie e 18 noti intellettuali internazionali (tra cui Noam Chomsky) lanciarono un appello per chiedere il suo immediato e incondizionato rilascio. “Le accuse contro di lui derivano semplicemente dal fatto che ha esercitato il suo diritto alla libertà di espressione e, per tale motivo lo riteniamo un prigioniero di coscienza” scrissero in una lettera. “La continua reclusione di attivisti dei diritti umani di così alto profilo – denunciarono i promotori dell’iniziativa – sta profondamente danneggiando la reputazione del governo degli Emirati Arabi Uniti”.
I problemi con la giustizia per l’ingegnere emiratino non sono però nati lo scorso anno: durante le rivolte arabe del 2011, infatti, Mansour, membro del Centro del Golfo per i diritti umani ed esponente della commissione consultiva dell’ong Human Right Watch, fu condannato al carcere insieme a 4 attivisti per aver “insultato i leader del Paese”. Fu poi in seguito rilasciato anche se le autorità gli confiscarono il passaporto impedendogli di lasciare il Paese .
“Negli ultimi anni, a causa del duro giro di vite [operato dalle autorità locali] contro gli attivisti e gli oppositori del governo, Ahmed Mansour è stato uno degli ultimi a denunciare le violazioni dei diritti negli Emirati – dichiarò nel marzo del 2017 Amnesty International (AI). “Proprio per il suo lavoro pacifico – aggiunse l’organizzazione non governativa britannica – ha subito ripetute intimidazioni, molestie, aggressioni fisiche e minacce di morte da parte delle autorità locali e dei suoi sostenitori. Almeno dal 2011 è stato posto sotto sorveglianza elettronica e fisica. Il suo computer e i suoi account di posta elettronica sono stati violati”.
La dura punizione subita da Mansour per i suoi “crimini” non deve sorprendere. Intervistato a giugno dal The Guardian sulla richiesta di chiusura della tv panaraba al-Jazeera per via dell’embargo contro il Qatar deciso lo scorso anno dai Paesi del Golfo, l’ambasciatore emiratino in Russia, Omar Ghobash, fu chiaro: “Noi non sosteniamo di avere una stampa libera. Non promuoviamo l’idea della stampa libera. Noi parliamo di responsabilità nel parlare”. “La libertà d’opinione – aggiunse Ghobash – ha diversi vincoli nei differenti paesi. Parlare in una parte del mondo ha un suo contesto particolare che può passare rapidamente dal pacifico al violento semplicemente attraverso le parole che sono utilizzate”. Nena News