Il premier uscente Netanyahu si conferma il vincitore delle quarte elezioni in due anni, ma non ha al momento i numeri per formare un esecutivo. L’ago della bilancia potrebbe essere il leader di estrema destra Bennet, ma soprattutto l’islamista Abbas. I rischi di una nuova elezione sono alti. Male i partiti arabi che perdono diversi seggi a causa delle divisioni interne
di Roberto Prinzi
Roma, 24 marzo 2021, Nena News – Come era prevedibile, le quarte elezioni in due anni in Israele hanno confermato lo stallo politico. Con l’’87,5% delle schede scrutinate, infatti, il blocco di estrema destra guidato dal premier uscente Netanyahu (Likud) sembrerebbe raggiungere solo 59 seggi, due in meno della maggioranza per poter guidare il Paese.
E’ vero c’è da attendere ancora il risultato degli elettori all’estero, dei pazienti di Coronavirus e dei soldati, tuttavia il trend già visto nelle precedenti tre legislative appare confermato: in Israele non c’è maggioranza politica e pertanto, secondo alcuni commentatori, la prospettiva di una nuova elezione (la quinta) appare probabile.
Stando ai dati finora pubblicati, i risultati elettorali vedono il partito di Netanyahu, il Likud, in testa con 30 seggi. A considerevole distanza (17 seggi) c’è il principale partito d’opposizione, Yesh Atid di Lapid. Poi i religiosi di Shas (9), Blu e Bianco con 8 (meglio delle aspettative, ma notevolmente ridimensionato rispetto alle scorse recenti elezioni).
Seguono a 7 seggi vari partiti: i religiosi del “Giudaismo della Torà” (7), i laburisti, l’estrema destra di Yamina guidata da Bennet (che potrebbe diventare secondo alcuni l’ago della bilancia per la formazione di un nuovo esecutivo), Yisrael Beitenu del più volte ministro xenofobo Lieberman. A 6 i sionisti religiosi, la Lista araba unita (uscita con le ossa rotta dopo la divisione interna se si pensa che all’ultima tornata elettorale aveva conquistato 15 seggi), Nuova Speranza del rivale di Netanyahu Saa’r e la sinistra sionista di Meretz.
Supererebbe la soglia elettorale conquistando 5 posti alla Knesset anche il partito arabo islamista Ra’am il cui leader Mansour Abbas, in campagna elettorale, ha aperto clamorosamente alla possibilità di unirsi ad un governo guidato da Netanyahu. Proprio il risultato definitivo di Ra’am potrebbe modificare leggermente il numero di seggi di alcuni partiti: il Likud, Yesh Atid, Shas, Giudaismo della Torà, infatti, perderebbero un seggio. Ma soprattutto il suo sostegno potrebbe permettere la nascita di un nuovo esecutivo targato Netanyahu.
Dai primi dati del voto di ieri emerge con chiarezza che il partito di Lapid si conferma il più votato nelle municipalità nella zona centrale del Paese, mentre il Likud di Netanyahu vince a sud e nord. L’unica eccezione è rappresentata da Haifa (“città mista” per la forte presenza di palestinesi con cittadinanza israeliana) dove il voto è stato diviso tra i due principali partiti. A Gerusalemme, cuore dei religiosi, ha vinto come era prevedibile Giudaismo della Torà, seguito a ruota dal Likud.
Al momento l’ago della bilancia per un futuro governo resta Bennet. Il leader di Yamina ed ex ministro di un precedente governo Netanyahu per ora non vuole prendere posizione, ma ha già ammonito: “Le regole del passato non saranno più accettabili. Bisogna muovere il paese da una leadership interessata a se stessa ad una invece professionale che si interessa [dei bisogni della popolazione]”. Parole che lasciano intendere che se dovesse unirsi a Netanyahu chiederà ministeri chiave. Forse addirittura trovare una intesa per guidare il Paese secondo l’accordo di rotazione già siglato lo scorso anno da Netanyahu e Benny Gantz.
Sui social media, intanto, il premier uscente Netanyahu ha dichiarato una “enorme vittoria” sui diversi gruppi che lo volevano sconfiggere: nonostante i processi di frode e corruzione, infatti, la sua compagine politica ottiene nuovamente più voti e seggi. Tuttavia, a differenza delle tre passate tornate elettorali, il premier ha usato toni meno trionfalistici limitandosi a parlare di un “grande risultato” e augurandosi di formare un “governo stabile di destra”.
Anche se non ha ancora la maggioranza per guidare il prossimo governo, Bibi ha vinto comunque la sua nuova sfida alle urne puntando sul successo mondiale della campagna vaccinate che ha permesso di vaccinare con due dosi già il 50% degli israeliani (trascurando del tutto i palestinesi, però). Un successo alle urne, seppur parziale, che è stato limitato solo in parte dalle accuse di frode e tangenti (il premier è sotto processo) così come dalle difficoltà economiche dovute alle restrizioni per fronteggiare l’epidemia da Covid-19.
La realtà è che il premier continua a godere di popolarità nel Paese anche perché i suoi rivali sono politicamente modesti: l’alleanza “Tutti tranne che Bibi” si è rivelata per l’ennesima volta un’armata brancaleone che non poteva rappresentare un’alternativa seria al premier più longevo della storia d’Israele. Così come un fiasco si è rivelata la decisione della Lista Araba Unita di dividersi: il calo netto dei seggi – dovuto anche alla minore affluenza alle urne nel settore arabo – dovrebbe far seriamente riflettere le leadership politiche dei partiti arabi che l’unità è la sola strada da percorrere.
Il presidente Rivlin chiederà molto probabilmente ora a Netanyahu di provare a formare un governo, un compito che, vista la situazione di impasse, potrebbe chiedere molto tempo. Con le ultime schede ancora da verificare, infatti, inizia la fase di contrattazione politica: Netanyahu corteggerà e otterrà molto probabilmente l’ok dei partiti religiosi ebraici (che già in passato si sono uniti al suo governo) così come le forze di estrema destra. I cinque seggi dell’islamista Abbas potrebbero far gola all’esperto leader israeliano per arrivare alla maggioranza sperata di 61 seggi sui 120 complessivi della Knesset.
Resta aperta poi la questione Bennet: un suo ingresso sposterebbe ancora più a destra l’esecutivo israeliano. Secondo alcuni commentatori, proprio la trazione a destra del futuro governo israeliano potrebbe creare tensioni con la nuova amministrazione statunitense di Biden su alcune questioni centrali come la possibilità di uno stato palestinese e il nucleare iraniano. Difficile al momento ipotizzare invece un governo formato da tutti gli oppositori (veri o reali) di Netanyahu con il sostegno di forze di centro sinistra (laburisti e Meretz) e di ciò che resta della Lista Araba unita. Nena News