Mentre gli alleati internazionali restano in silenzio, le Nazioni Unite chiedono un’indagine indipendente, Il Cairo risponde: “Politicizzate una morte naturale”. Il regime tenta di oscurare il decesso, ma le condanne montano in tanti settori della società. E nel villaggio di origine dell’ex presidente la gente scende in strada
della redazione
Roma, 19 giugno 2019, Nena News – L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi è stato sepolto con tanta fretta da aver sollevato più di un dubbio. Se la tradizione islamica prevede funerali a poche ore dal decesso, vero è anche che la morte in tribunale, dopo anni di carcere, di un ex presidente avrebbe meritato un’indagine più accurata dell’autopsia a porte chiuse del governo.
Ma è il silenzio a prevalere in Egitto: il regime del presidente-generale al-Sisi ha paura di Morsi anche da morto. E non perché fosse stato un leader amato o illuminato, al contrario, ma perché primo e unico presidente democraticamente eletto, perché simbolo – insieme a tanti altri avversari politici del Cairo – della repressione interna e perché prima vittima ancor prima del massacro di Rabaa della restaurazione.
I giornali egiziani gli hanno dato pochissimo spazio, poche parole nelle pagine interne o in fondo ai siti web. E le autorità religiose hanno vietato preghiere auto-organizzate in tutto l’Egitto, secondo quanto riportato dal portale di informazione Middle East Eye. I funerali si sono svolti al Cairo alla presenza di pochi familiari – non c’era neppure la moglie, non autorizzata a prendervi parte – e di molti poliziotti. Qualcosa però si è mosso: a El-Adwah, villaggio di origine di Morsi sul Delta del Nilo, dove la famiglia avrebbe voluto seppellirlo, ieri la gente è scesa in strada per protestare e commemorare.
Subito la comunità è stata chiusa: la polizia ha eretto checkpoint volanti, ha perquisito auto e taxi collettivi, ha pattugliato le strade con veicoli blindati. E la moschea principale del villaggio, gestita dal governo secondo una precisa politica implementata dopo il golpe del 2013 per impedire che tornassero a essere luoghi di organizzazione del dissenso, non ha permesso la preghiera. Per cui, raccontano a Mee i residenti, la gente ha acceso le radio fuori dalla finestra, mentre i pochi che tentavano di entrare in moschea sarebbero stati cacciati.
Ma in serata la gente, stanca, è scesa in strada scandendo lo slogan “Al-Sisi ha ucciso Morsi”. Una convinzione radicata in non pochi egiziani: non un omicidio diretto, ma una morte voluta costringendo l’ex presidente a una vita di stenti per quasi sei anni. Per questo interviene anche l’Onu che ieri ha chiesto l’avvio di “un’inchiesta approfondita e trasparente” attraverso il suo ufficio per i diritti umani, un’inchiesta che verifichi le condizioni di vita e il trattamento in prigione del leader dei Fratelli Musulmani.
“Preoccupazione è sorta intorno alle condizioni di detenzione di Morsi – ha detto il portavoce del Commissario per i diritti umani dell’Onu, Rupert Colville – compreso l’accesso ad adeguate cure mediche e ai suoi avvocati e alla famiglia. L’inchiesta dovrebbe essere portata avanti da autorità giudiziarie o comunque competenti che siano indipendenti dall’autorità che lo ha imprigionato”.
Una richiesta a cui si uniscono anche altri leader mediorientali, vicini alla Fratellanza Musulmana. A partire dal presidente turco Erdogan, a capo di un partito, l’Akp, parte dei Fratelli, e dal leader del movimento islamico palestinese Hamas, Khaled Meshaal. Il primo, ieri, durante una commemorazione di massa nella moschea Fatih di Istanbul, ha parlato di “morte non normale”. Accuse condivise dalle organizzazioni per i diritti umani, da Human Rights Wacht ad Amnesty International, ma anche dalle opposizioni politiche egiziane ad al-Sisi, non solo islamiste ma anche liberali e di sinistra che le condizioni di detenzione dei 60mila prigionieri politici egiziani le conoscono bene.
A rispondere è direttamente Il Cairo che stamattina, attraverso il portavoce del ministero degli Esteri, Ahmed Hafez, ha accusato l’Onu di voler “politicizzare la morte naturale di Morsi”.
Il regime ha dalla sua il silenzio degli alleati. Quegli stessi paesi che hanno subito appoggiato al-Sisi dopo il golpe del luglio 2013 che ha aperto una stagione di violenza e oppressione oggi non parlano. Né lo hanno fatto in passato, in questi sei anni di isolamento totale dell’ex presidente, senza visite familiari né cure mediche.
La morte di Morsi avrebbe potuto rappresentate l’occasione di una critica di un’intero sistema repressivo, tentacolare e devastante della società egiziana, ma ad Occidente regna il silenzio. Nena News