Annunciata ieri dall’esercito, dell’offensiva “Sinai 2018″ si sa ancora poco. Accesso vietato nel nord della Penisola, scuole chiuse, medici raddoppiati. E la paura monta tra la popolazione, già soggetta a restrizioni e abusi in nome della lotta all’islamismo radicale
di Chiara Cruciati
Roma, 10 febbraio 2018, Nena News – L’annuncio ufficiale è stato dato ieri, ma le prime misure erano partite già giovedì notte: l’esercito egiziano ha lanciato un’ampia operazione anti-terrorismo, “Sinai 2018″ nel nord della Penisola del Sinai, dando però pochi dettagli. Non tanto ai giornalisti quanto ai residenti che non nascondono i loro timori.
Di certo si sa, lo riportano fonti locali, che le forze armate hanno chiuso da oltre 24 ore l’accesso al nord del Sinai: non si entra e non si esce. Chiuso anche il traffico dal Canale di Suez e dal tunnel Ahmed Hamdi e la principale superstrada che collega le varie città del Nord del Sinai, Arish, Rafah, Sheikh Zuwayed. Internet e linee telefoniche risultavano inutilizzabili dalle 7 del mattino alle una del pomeriggio, mentre in mattinata le stazioni di benzina chiudevano i battenti, su ordine del Comune. Sospese anche le attività scolastiche, fino a nuove ordine, con l’Università del Sinai che annunciava la ripresa del secondo semestre il 17 febbraio.
Non solo il Sinai: il ministero dell’Interno ha ordinato la predisposizione di posti di blocco fissi e mobili e il dispiegamento delle unità speciali della polizia in tutti i governatorati del paese, nelle piazze, le principali vie di comunicazioni dentro e tra i distretti.
Le operazioni sarebbero già iniziate. Ieri i residenti parlavano di almeno 15 raid aerei intorno alla città di Arish e di esplosioni nei pressi delle comunità principali della penisola, in particolare sul Canale di Suez e la città di Ismailiya e al confine con la Striscia di Gaza: l’esercito ha costretto centinaia di palestinesi che in questi giorni avevano attraversato legalmente il valico di Rafah, aperto, a tornare indietro. E il valico si è chiuso di nuovo, a tempo indeterminato.
Gaza, dopotutto, è tra i primi target della presidenza al-Sisi che ha in Hamas (membro dei Fratelli Musulmani) un nemico dichiarato. Lo si è visto negli anni passati con la distruzione da parte egiziana di migliaia di tunnel, indispensabili alla sopravvivenza della popolazione sotto assedio di Gaza e gli spari contro le barche dei pescatori palestinesi che si spingevano, secondo Il Cairo, troppo vicino alle acque egiziane.
L’offensiva di ieri giunge a pochi giorni dal lancio di un’altra attività, quella di sfollamento di migliaia di civili dalla zona intorno all’aeroporto di Arish, lo sradicamento di alberi di ulivo e la demolizione di case, il tutto – dicono le forze armate – per creare una zona cuscinetto per impedire l’attività dei gruppi islamisti presenti.
Proprio i civili sono i più preoccupati dalla maxi-operazione, conoscendo già bene i modi di intervento delle forze armate e delle unità anti-terrorismo: abusi, violenze, restrizioni al movimento, arresti arbitrati. Succede già: ieri locali denunciavano all’agenzia indipendente Mada Masr di irruzioni dei militari in case private, perquisizioni e alcune detenzioni.
“Viviamo in uno stato di completa paura – dice un residente al portale Middle East Eye – Non sappiamo nulla delle operazioni, ma possiamo sentire le esplosioni da qui. Tutti i checkpoint sono chiusi e nessuno è autorizzato ad uscire”. In trappola: le famiglie corrono nei supermercati a fare scorte di cibo nel timore che questo blocco totale possa durare a lungo. Un timore rafforzato dalla notizia che il governo ha inviato, oltre a rinforzi militari, anche medici e infermieri: in una lettera ottenuta dai media, il ministero della Salute indica in dieci punti le misure da assumere subito, tra cui il raddoppio dello staff e dei letti negli ospedali in Sinai, turni più lunghi e l’invio di sacche di sangue e medicinali extra.
La Penisola del Sinai, sotto stato di emergenza ormai da anni, è tra le zone più marginalizzate del paese. Un’esclusione socio-economica e di investimenti a cui si aggiunge da tempo una campagna anti-terrorismo che al regime del Cairo serve per accreditarsi agli occhi della comunità internazionale, dei donatori occidentali e delle varie coalizioni anti-islamisti.
La conseguenza è diretta: la legge anti-terrorismo entrata in vigore già nel 2013, subito dopo il golpe e prima dell’inizio della prima presidenza al-Sisi si è tradotta in una copertura per la macchina della repressione messa in piedi dal Cairo – e triste eredità del regime di Mubarak sconfitto da piazza Tahrir – che colpisce opposizioni, giornalisti, ong, voci critiche, molto di più di quanto non intacchi la presenza e la sempre più vasta attività terroristica di islamisti radicali e gruppi legati allo Stato Islamico. Che colpiscono, al Cairo come in Sinai, moschee e chiese copte, gli stessi civili già abusati dallo Stato. Nena News