Dalla Penisola non arrivano notizie se non quelle dell’esercito impegnato nell’operazione “Sinai 2018″. La denuncia di Human Rights Watch: popolazione alla fame, senza libertà di movimento, con scarso accesso a elettricità e acqua e soggetta ad abusi e arresti arbitrari
di Chiara Cruciati
Roma, 23 aprile 2018, Nena News – Le notizie che arrivano dalla Penisola del Sinai sono poche. Dal lancio dell’operazione “Sinai 2018”, iniziata il 9 febbraio scorso con la partecipazione di esercito e polizia, l’area è chiusa e le informazioni che escono sono quelle fornite dal Cairo.
Il 18 aprile un alto comandante dello Stato Islamico è morto: Nasser Abu Zukul, “emiro dell’Isis nel Sinai centrale, dopo un duro scontro a fuoco”, è stato ucciso, ha fatto sapere l’esercito egiziano. Pochi giorn prima l’Isis aveva compiuto un attacco contro una base militare, uccidendo almeno otto soldati e ferendone 14. Uccisi anche 14 miliziani mentre tentavano di infiltrarsi nella base.
Negli stessi giorni il governo egiziano annunciava l’investimento di 15,6 miliardi di dollari per lo sviluppo della Penisola del Sinai e lo sradicamento del terrorismo, nel corso di quattro anni: “Gli sforzi di controterrorismo non mostreranno i loro frutti fino a quando non si accompagneranno a uno sviluppo comprensivo – ha detto il 15 aprile il primo ministro Ismail al parlamento egiziano – Sulla base di ciò, un programma nazionale è stato lanciato per lo sviluppo del Sinai con un finanziamento iniziale di 275 miliardi di sterline egiziane per quattro anni”.
Ai parlamentari, poi, Ismail ha fornito i numeri di “Sinai 2018”: 200 terroristi uccisi da febbraio, 22 perdite tra i soldati. Difficile verificare vista l’assenza di giornalisti sul posto e della chiusura pressoché totale della Penisola. A parlare di emergenza umanitaria è oggi Human Rights Watch che in un nuovo rapporto denuncia la crisi dei civili nell’area a causa delle operazioni militari in corso: “420mila residenti in quattro città nord-orientali hanno urgente bisogno di aiuti umanitari”, scrive Hrw, che sottolinea quanto emerso in questi mesi, ovvero la quasi totale restrizione della libertà di movimento di persone e beni che impedisce l’arrivo di cibo nelle comunità.
“I residenti dicono di vivere con una grave diminuzione di cibo, medicinali, gas da cucina e altri beni essenziali”. Una carenza a cui si aggiunge il taglio frequente dei servizi di telecomunicazioni, di acqua corrente ed elettricità. “Un’operazione di controterrorismo che impedisce l’arrivo di beni essenziali a centinaia di migliaia di civili è illegale e difficilmente smorzerà la violenza”, commenta Sarah Leah Whitson, direttrice di Hrw per Medio Oriente e Nord Africa.
Punizioni collettive, raid e perquisizioni arbitrarie nelle case, arresti, chiusura delle comunità: il Sinai è sotto assedio. I residenti riportano di fermi illegittimi ai checkpoint e nelle abitazioni, della confisca di telefoni e computer. E se durante le elezioni presidenziali di fine marzo alcuni cittadini e giornalisti denunciavano la compravendita di voti anche attraverso pacchi di cibo, nella Penisola non arriva quasi nulla se non camion dell’esercito. Secondo quanto riportato dall’agenzia indipendente Mada Masr, l’arrivo sporadico di camion di cibo dell’esercito – i soli a poter entrare e uscire senza problemi – si accompagna ad assembramenti di persone che cercano di ottenere qualche pacco di prodotti alimentari, “assalti” di folle affamate dal governo centrale a cui – denuncia Hrw – l’esercito in alcuni casi ha risposto con il fuoco.
Racconti diversi da quelli dell’esercito secondo cui la popolazione appoggia l’operazione in corso e fornisce informazioni importanti alla neutralizzazione dei gruppi armati. Dal 2013, la deposizione via golpe del presidente eletto Mohammed Morsi, il presidente-golpista al-Sisi ha lanciato una serie di operazioni militari per eliminare i gruppi, sempre più ampi, di matrice islamista attivi nel Sinai e nel deserto e capaci di compiere attacchi terroristici in tutto il paese. Una radicalizzazione facilitata dall’assenza pressoché totale dello Stato – se non sotto forma di polizia ed esercito – nelle zone più marginalizzate dell’Egitto, tra cui il Sinai dimenticato dai piani di sviluppo del governo centrale.
Al-Sisi lo aveva annunciato a febbraio, quando lanciò “Sinai “2018”: “E’ vostra responsabilià – disse rivolgendosi all’esercito – mettere in sicurezza e stabilizzare il Sinai nei prossimi tre mesi. Potete usare tutta la forza bruta necessaria”. La stanno pagando i civili: “La popolazione del Sinai continua ad essere schiacciata tra Isis e Egitto – è il commento dell’analista Zack Gold – Se l’operazione Sinai 2018 smantellerà la filiale dell’Isis in Sinai, il duro trattamento che Hrw documenta è il seme di un futuro movimento di insurrezione”. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati