L’epidemia ha già ucciso 25 dottori. In decine si dimettono accusando il governo di non aver preso misure adeguate per contenere il virus negli ospedali. Il Cairo risponde con una campagna stampa contro di loro
della redazione
Roma, 29 maggio 2020, Nena News – Continua a salire il bilancio dei lavoratori della sanità morti per Covid-19: 25 dottori, secondo i dati forniti dal sindacato dei medici egiziani. Medici ma anche studenti di medicina che si sono messi a disposizione per contrastare l’epidemia in tutto il paese. Al momento in Egitto i contagi ufficiali sono quasi 21mila, 845 i decessi e 5.400 i ricoverati in ospedali.
Da giorni monta la loro protesta: lamentano la carenza di tamponi e di protezioni adeguate a chi lavora in prima linea, a partire dalle mascherine. A Middle East Eye uno di loro, contagiato come altri 350, Abdel Latif, racconta di aver pagato 5mila sterline egiziane (circa 284 euro) per due tamponi risultati negativi. E’ tornato al lavoro, ma era malato. Il tampone lo ha pagato di tasca sua, in una clinica privata, e solo perché la sua famiglia poteva permetterselo. Tanti altri comprano le mascherine online, ma durano poco.
Le ultime tre vittime risalgono a mercoledì: Samir al-Ghandour, ortopedico a Suez, Mushira Mahfouz Qudsy, radiologo a Al-Mahalla, e Isaac Awad Attia, gastroenterologo ad Aswan.
La scorsa settimana decine di medici del al-Munira General Hospital del Cairo si sono dimessi con una lettera pubblicata sui social accusando il ministero della Salute di aver preso “decisioni arbitrarie” nella gestione dell’epidemia e di non aver protetto a sufficienza gli staff sanitari. La loro protesta è stata subito fatta propria dal sindacato che ha avvertito del serio pericolo, concreto, di un collasso del sistema sanitario già provato da decenni di abbandono, di staff medico sottopagato e strutture male equipaggiate. Ora gli ospedali sono sovraccarichi, strapieni.
C’è chi parla di un possibile sciopero, chi di qualcosa di peggio: la scelte individuale dei medici di non presentarsi al lavoro per non contrarre il virus e non contagiare i propri familiari. Più che una protesta collettiva, una protesta dei singoli che provocherebbe un vuoto.
Il ministro della Salute, Hala Zayed, due giorni fa, ha promesso nuove misure: un piano degli ospedali dove aggiungere 20 posti letti per chi va messo in quarantena, tamponi per medici e infermieri ogni due settimane e un incremento dello staff per gli ospedali che ospitano malati di coronavirus.
Ma la reale risposta del governo del presidente al-Sisi non è stata affatto comprensiva. Dopo aver trascorso le prime settimane dall’arrivo del Covid-19 a negare che esistesse un problema, dopo aver nascosto i casi e aver precettato medici per portarli – a loro insaputa – in alberghi trasformati in strutture di quarantena senza informali né formarli, ora Il Cairo scarica la colpa sugli ospedali.
Lo fa attraverso i media filo-governativi, protagonisti in questi ultimi giorni di una campagna contro la protesta dei medici. Li accusano di sabotaggio, di essere cellule segrete dei Fratelli Musulmani, gruppo messo al bando con l’avvento di al-Sisi al potere. E dire che all’inizio dell’epidemia gli stessi media li osannavano, li chiamavano “l’esercito in bianco”, uomini e donne in prima linea per la popolazione.
Ora sono diventati “i burattini della Fratellanza”. Compresi i morti, come ha fatto Al-Ahram, quotidiano di proprietà dello Stato. C’è anche chi, come il sito di informazione Youm7, accusa il presidente turco Erdogan di aver manipolato i medici e di aver organizzato la loro protesta. Lo dicono i media e lo dicono alcuni parlamentari, che parlano esplicitamente di “terrorismo” e “alto tradimento”.
La campagna stampa ha ovviamente effetti sulla popolazione. Su Twitter sono comparsi post di utenti che incitano a uccidere i medici in caso di sciopero o chi propone di usare i tutorial di YouTube per curarsi, facendo a meno dei professionisti. Nena News