Da dieci giorni di Marwa Arafa e Khouloud Saeed non si hanno notizie: arrestate da polizia e servizi, accusate di post critici contro le autorità per la mala gestione dell’emergenza Covid-19, sono tra le decine di attivisti, avvocati e semplici cittadini puniti per aver alzato la voce
della redazione
Roma, 30 aprile 2020, Nena News - Sono scomparse ormai da dieci giorni due giovani egiziane, due donne arrestate tra il 20 e il 21 aprile scorsi. Marwa Arafa, 27 anni, e Khouloud Saeed, 35 di Alessandria, entrambe traduttrici, sono state portate via dalla polizia con l’accusa di aver pubblicato sui social critiche al governo nella gestione dell’emergenza Covid-19. Da allora né i familiari né gli avvocati hanno avuto modo di individuarle, di sapere dove si trovino.
Una pratica nota quella della sparizione forzata di oppositori, critici, semplici cittadini che negli anni passati Amnesty International e altre organizzazioni locali per i diritti umani avevano stimato in 2-3 al giorno. Persone arrestate e poi “scomparse”, che le autorità negano di detenere, costringendo molte famiglie a mesi e anni di ricerche, spesso di bustarelle a funzionari pubblici per ottenere qualche piccola informazione. Altre volte qualche settimana dopo gli arrestati riappaiono in tribunale, dopo giorni e giorni di “buco”.
A denunciare la sparizione di Marwa e Kholoud sono state le famiglie, appoggiate da Huma Rights Watch e da una campagna online che ne chiede il rilascio. Saeed sarebbe riapparsa, dice Hrw, due giorni fa negli uffici della procura del Cairo ma informazioni certe non ce ne sono perché gli avvocati non sono stati informati né è stato permesso loro di vederla. Di certo ci sono le accuse mosse dai procuratori egiziani verso la giovane: “appartenenza a gruppo terroristico”, “diffusione di notizie false”, “uso di sito web per commettere un crimine” per Kholoud Saeed per la quale sono stati chiesti 15 giorni di detenzione preventiva, rinnovabili all’infinito senza un processo.
Il caso di Saeed è stato inserito nel più ampio fascicolo 558/2000, noto anche come “caso coronavirus”: coinvolti decine di avvocati e attivisti, tutti accusati di aver criticato il governo sulla gestione dell’emergenza sanitaria. Un governo che prima ha negato i primi casi di contagio, poi ha precettato medici ignari in luoghi dove erano stati posti in quarantena malati o possibili tali e che infine ha imposto il coprifuoco sul paese senza fornire adeguata assistenza sanitaria ed economica ai milioni di egiziani costretti a lavorare in nero per guadagnarsi da vivere.
Di Marwa Arafa, invece, si sa ancora meno. Il marito, Tamer Mowafy, ha lanciato una campagna online dopo che, il 20 aprile scorso, due funzionari della sicurezza e quattro uomini a volto coperto con uniformi della polizia si sono presentati nella loro casa di Nasr City, al Cairo, senza mandato d’arresto, per portarla via senza ulteriori spiegazioni.
Nessuna notizia nemmeno di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna arrestato al suo rientro in Egitto il 7 febbraio scorso. Martedì l’udienza per la scarcerazione o per il rinnovo della detenzione cautelare è stata nuovamente rinviata, per la settima volta da inizio marzo. La campagna Fb “Patrick Libero”, che aggiorna sulle condizioni del giovane, ha chiesto nuovamente il suo rilascio, anche alla luce del mancato rinnovo della custodia cautelare, scaduta lo scorso 23 marzo.
La scusa delle autorità giudiziarie per il continuo rinvio delle udienze è proprio il Covid-19 e l’impossibilità di procedere con le normali attività. Una giustificazione che si scontra con le mancate misure verso i detenuti, costretti in carceri sovraffollate e in condizioni igieniche terribili. Tra loro almeno 60mila prigionieri politici. Come Patrick. Nena News
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