Mentre raddoppiano i costi per elettricità e carburante, i deputati approvano aumenti dei loro salari dimenticando quelli dei lavoratori mangiati dall’inflazione crescente
di Chiara CruciatiRoma, 25 luglio 2018, Nena News – A poco servono le dichiarazioni distensive del presidente al-Sisi, che promette a breve un miglioramento delle condizioni di vita in Egitto. Le misure assunte negli ultimi anni dal governo del Cairo, su spinta del Fondo Monetario Internazionale e di una durissima austerity, riducono costantemente la spesa pubblica andando a colpire le classi media e bassa.
A fronte di un incremento costante dei prezzi dei beni di prima necessità e delle bollette di acqua ed elettricità, gli stipendi non aumentano. O almeno non abbastanza: all’inizio di giugno il governo ha annunciato un incremento dei salari di 6,5 milioni di dipendenti pubblici del 10-15%, per introdurre poco dopo un aumento del costo del carburante del 60% e dell’energia elettrica del 26%. Ed è di sabato l’annuncio di un nuovo aumento: +75% nel costo del gas da cucina.
Il tutto mentre i parlamentari egiziani si auto-approvavano, una settimana fa, il raddoppio di stipendio: il 100% in più per stipendi già alti, 2.530 dollari al mese. A protestare dagli scranni parlamentari è stata l’Alleanza 25-30, partito formato da indipendenti, che ieri ha chiesto uno specifico finanziamento per incrementare il salario minimo e le pensioni minime, al momento rispettivamente pari a 1.200 sterline egiziane (57 euro) e 750 sterline (36 euro). La scorsa settimana era toccato alle pensioni, con un nuovo piano approvato dal parlamento e inviato ad al-Sisi per la ratifica, che prevede un incremento delle pensioni dei deputati fino all’80% per parlamentari e governatori con un minimo di 10 anni di servizio. Ben lontano dagli assegni pensionistici pari al 30% dell’ultimo stipendio previsti per il resto degli egiziani.
Una forma odiosa di ingiustizia sociale, accusano economisti e opposizioni, rintracciabile nelle politiche imposte nel 2016 dall’Fmi in cambio di 12 miliardi di dollari di prestito. Misure che negli anni hanno fatto impennare il tasso di inflazione che lo scorso anno ha raggiunto picchi superiori al 40% per il cibo e i beni di prima necessità, per attestarsi quest’anno sotto il 15%. Accanto all’aumento dei prezzi, si riducevano i sussidi statali per le famiglie povere con le conseguenti proteste spontanee della popolazione che ha visto peggiorare in modo drammatico le proprie condizioni di vita: in pochi anni il tasso di povertà è cresciuto, toccando una media del 30% per i quasi 100 milioni di abitanti del paese nordafricano, ma sfiorando il 60% nei governatorati tradizionalmente più poveri e marginalizzati.
“Se i salari aumentano ma allo stesso tempo aumentano i prezzi, non fa alcuna differenza – è il commento di Rashad Abdo, professore di economia all’Univeristà del Cairo – Ma farebbe una differenza se i salari restassero stabili e i prezzi diminuissero”. Ovvero, suggerisce l’economista, meglio controllare i prezzi e far decrescere l’inflazione. Ma non accade. Meglio sarebbe ridurre il gap tra ricchi e poveri con un maggiore peso fiscale sulle classi abbienti, denaro con cui coprire sussidi statali per le classi povere, riduzione delle tasse e aumento di pensioni e stipendi.
Ma l’Egitto di oggi segue un altro percorso che ricorda quello costellato di privilegi dell’epoca Mubarak. Privilegi per l’élite al potere che passa per lusso, immunità per gli abusi commessi, il fiorire degli affari per le aziende legate all’esercito o a uomini vicini all’establishment politico. Intanto il resto degli egiziani combatte ogni giorno per una vita dignitosa, resa sempre più difficile dalle politiche neoliberiste marchio di fabbrica del Fondo Monetario Internazionale, applicate a macchia d’olio nei paesi più poveri in cambio di prestiti miliardari che non arrivano mai alle classi basse.
Proteste di base si svolgono – l’ultima poche settimane fa contro l’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici – ma non godono di una struttura organizzativa politica in grado di renderle costanti. Eppure il regime di al-Sisi ne ha paura e lo dimostra la pervasiva macchina della repressione messa in piedi in questi anni: 60mila prigionieri politici stimati, più di dieci nuove carceri costruite, sparizioni forzate che toccano una media di 2-3 al giorno. Sullo sfondo il ricordo vivo della rivoluzione del 2011, di piazza Tahrir, spettro che pesa sul Cairo consapevole che potrebbe riaccendersi in ogni momento. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati