In vista dei mondiali del 2022 cade l’inchiesta mossa dall’Organizzazione internazionale del Lavoro contro Doha dopo la promessa di riforme interne. Ma le condizioni di lavoro sono ancora pessime e le ong non credono agli impegni a parole dell’emirato
di Chiara Cruciati
Roma, 9 novembre 2017, Nena News – Il Qatar introduce il salario minimo e le Nazioni Unite chiudono il caso: ieri l’Organizzazione internazionale del Lavoro ha fatto cadere l’inchiesta aperta su Doha e le condizioni di vita e i diritti – mancati – dei lavoratori, in primis migranti.
I mondiali di calcio sono sempre più vicini, tra cinque anni il Qatar ospiterà l’evento mondiale, e in questi anni sono stati tanti i rapporti e le denunce per le condizioni di semi-schiavitù in cui le autorità qatariote costringono milioni di lavoratori. L’Onu aveva deciso di indagare ma è durata poco: è bastato l’impegno dell’emirato a introdurre riforme nel diritto del lavoro e l’inchiesta è stata chiusa.
“L’Oil accoglie l’impegno del Qatar a intervenire in cooperazione con l’organizzazione per la promozione e la protezione dei diritti dei lavoratori”, ha commentato il direttore generale Guy Ryder. “Circa 2 milioni di lavoratori in tutti i settori godranno d’ora in poi di migliore protezione, compreso un sistema di risoluzione delle controversie, accessibile anche ai più vulnerabili, i lavoratori domestici”, ha aggiunto Luc Cortebeeck, presidente dell’Oil. Ancora più entusiasta il segretario generale dell’agenzia, Sharanrrow: “Il Qatar sarà leader dei paesi del Golfo. Così potremo sostenere i mondiali del 2022, perché con i diritti dei lavoratori l’evento avrà il sostegno di tutti i lavoratori e i sindacati”.
A monte sta l’annuncio del ministro del Lavoro qatariota, Issa bin Saad al Jafali al Nuaimi, al forum dell’Oil di mercoledì: il governo lavora per garantire migliori condizioni di lavoro per i lavoratori domestici e i lavoratori migranti. L’Oil spera nella cancellazione della confisca del passaporto, pratica comune nel Golfo per impedire ai migranti di cercare impieghi migliori o di lasciare il paese: alla base sta il sistema della kafala, che costringe il migrante ad avere uno sponsor qatariota che di fatto ne diventa “padrone”. Doha ha inoltre deciso di introdurre, prima volta nella storia, il salario minimo garantito e di permettere la nascita di organizzazioni sindacali nei posti di lavoro.
Ora resta da vedere se le promesse saranno mantenute. Il Qatar aveva già individuato la data di scadenza del sistema della kafala a dicembre 2016, un anno fa, senza mai rispettare l’impegno. Una realtà che spiega bene i dubbi delle tante organizzazioni internazionali per i diritti umani che credono poco agli annunci ad effetto di un paese che cerca – come le altre petromonarchie del Golfo – di ripulirsi l’immagine.
La speranza cova anche tra i due milioni di lavoratori migranti impiegati in Qatar in condizioni di semi-schiavitù. Si tratta per lo più di cittadini del sud est asiatico, un milione e 600mila migranti a cui si aggiungono decine di migliaia di bengalesi e nepalesi impiegati nel settore del gas naturale e filippini che lavorano come collaboratori domestici nelle case dei 300mila cittadini qatarioti.
Le loro condizioni di vita sono pessime. Prigionieri nelle case o nei cantieri, pagati con salari miseri che in alcuni casi non vengono consegnati, privati dei passaporti e della libertà di movimento, spesso oggetto di violenze fisiche e psicologiche, per i lavoratori stranieri è impossibile organizzarsi strutturalmente. E l’assenza di sindacati impedisce mobilitazioni o campagne per i diritti basilari.
Abusi diventati palesi in questi anni di preparazione dei mondiali di calcio: migranti morti di caldo e attacchi di cuore nei cantieri, migranti uccisi da incendi e incidenti, migranti alloggiati in campi di lavoro senza igiene né sicurezza, migranti costretti a girare buona parte della misera paga agli sponsor per ripagarsi il viaggio e la permanenza. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati