Tra gli oltre 50 detenuti che potrebbero presto finire sul patibolo c’è anche Ali al-Nimr, condannato a essere decapitato e crocifisso per aver partecipato a proteste anti-governative. Amnesty: “Riad usa la pena capitale per sistemare questioni politiche”
di Sonia Grieco
Roma, 27 novembre 2015, Nena News – Il boia torna in azione in Arabia Saudita e questa volta, stando alle notizie di stampa locale, è stata pianificata un’esecuzione di massa: 52 (forse 55) condanne a morte da eseguire in un solo giorno per reati di terrorismo. Lo denuncia Amnesty International che ha parlato di un aumento esponenziale delle pene capitali nel regno. Sono circa 150, secondo l’organizzazione, le condanne a morte comminate quest’anno (90 l’anno scorso): un numero record negli ultimi vent’anni.
Ma la cosa che desta maggiore preoccupazione è che Riad sembra utilizzare la minaccia terroristica per mandare a morte gli oppositori. Tra i condannati, infatti, ci sarebbero diversi sciiti arrestati durante le proteste anti-governative, manifestazioni che difficilmente fanno breccia sui media internazionali. Ci sono diversi abitanti si Awamiya, cittadina della zona orientale del regno, che dal 2011 è stata il centro della protesta della minoranza sciita contro la casa reale sunnita. Gli sciiti lamentano discriminazioni, mentre Riad li accusa di avere sostenuto la rivolta nel vicino Bahrein e di avere organizzato attacchi contro la polizia. Awamiya è un focolaio di terroristi di al Qaeda, secondo il governo.
Nel braccio della morte, infatti, ci sono sei residenti della città, sei attivisti che, secondo Amnesty, hanno subito un processo iniquo. Tre di loro, inoltre, sono stati condannati per reati commessi quando erano minorenni e le loro confessioni sarebbero state estorte con la tortura. Si tratta di Abdullah al-Zaher, Hussein al-Marhoon e Ali al-Nimr, quest’ultimo arrestato per aver partecipato alle proteste del 2011. Quella che alcuni hanno chiamato la “rivolta segreta dei sauditi”, messa a tacere da Riad e ignorata dal mondo.
Ali al-Nimr, ora 21enne, sarà decapitato e crocifisso. Una sentenza che ha scatenato l’indignazione internazionale, ma potrebbe essere eseguita a breve. Il giovane è stato accusato di appartenere a un’organizzazione terroristica, di possedere armi, di aver lanciato bottiglie molotov contro le forze di sicurezza e di aver usato il suo cellulare per organizzare la protesta. Ha confessato tutto, sotto tortura dicono gli attivisti, e senza aver ricevuto assistenza legale. A complicare la posizione del ragazzo è anche il suo albero genealogico: al-Nimr, infatti, è il nipote di un famoso imam sciita (Shaykh Nimr Baqr an-Nimr) noto oppositore della monarchia sunnita wahhabita saudita e che, per il suo pubblico dissenso, fu imprigionato e decapitato agli inizi delle rivolte arabe scoppiate nel 2011. Secondo quanto riportato da Amnesty, gli altri cinque attivisti finiti nel braccio della morte con Ali al-Nimr sono fratelli e la madre ieri si è rivolta a re Salman per invocare clemenza.
Riad ha sempre risposto alle critiche internazionali che le condanne a morte sono in linea con la legge coranica, ma per gli attivisti sono un’arma, un monito, per sedare il dissenso interno e sbarazzarsi di scomodi oppositori.
“È chiaro che le autorità saudite stanno usando la maschera del contrasto al terrorismo per sistemare questioni politiche”, ha detto James Lynch, vicedirettore di Amnesty Interntional Medio Oriente e Nord Africa. Nena News