Lo sciita Ali an-Nimr è accusato da Riyad di appartenere ad una organizzazione terroristica. Il giovane partecipò ad una manifestazione pro-democrazia nel 2012 quando era ancora minorenne. Pochi giorni fa, l’Onu aveva affidato all’ambasciatore saudita presso l’Onu un ruolo chiave nel campo dei diritti umani
della redazione
Roma, 23 settembre 2015, Nena News – Sarà decapitato e crocifisso pubblicamente a mò di monito. No, non stiamo parlando della nuova barbarie targata Stato islamico (Is) ma di quanto avverrà a breve in Arabia Saudita, tra le più strette alleate occidentali. A rivelare la notizia sono stati gli attivisti sauditi e l’Ong britannica Reprieve che si batte contro la pena di morte.
Il destinatario della sentenza di morte è il 21enne, Ali Mohammed an-Nimr, arrestato quando era ancora minorenne per aver partecipato ad una protesta contro il regno. I fatti risalgono al 2012. An-Nimr aveva allora 17 anni ed aveva preso parte ad una manifestazione a Qatif (nella parte orientale del Paese). Il giovane fu arrestato e accusato di vari crimini tra cui quello di appertenere ad una organizzazione terroristica, di possedere armi e di aver lanciato bottiglie molotov contro le forze di sicurezza. Fu anche incolpato per aver usato il suo cellulare per organizzare la protesta. Le accuse, confermate in fase processuale, si basano sulla sua confessione che – denuncia Reprieve – fu estorta con torture. Durante il processo – sempre secondo quanto riferisce la Ong britannica – al ragazzo è stato negato un avvocato e quando il giovane ha posto personalmente la questione delle torture, i giudici si sono rifiutati di prendere in considerazione le sue parole.
A complicare la posizione del ragazzo è anche il suo albero genealogico: an-Nimr è infatti il nipote di un famoso imam sciita (Shaykh Nimr Baqr an-Nimr) noto oppositore della monarchia sunnita wahhabita saudita e che, per il suo pubblico dissenso, fu imprigionato e decapitato agli inizi delle rivolte arabe scoppiate nel 2011.
Zena Esia, dell’organizzazione saudita europea per i diritti umani ha dichiarato qualche giorno fa alla stampa britannica che “l’unico modo per salvare Ali è chiedere un perdono reale. Il suo rilascio o meno dipende da una decisione del monarca”.
La notizie della terribile sentenza pronunciata contro an-Nimr stride ancora di più se si pensa che pochi giorni fa le Nazioni Unite hanno affidato all’Arabia Saudita un ruolo chiave nel campo dei diritti umani. Una decisione, questa, che ha mandato su tutte le furie i gruppi per i diritti umani internazionali secondo i quali la monarchia wahhabbita è “indiscutibilmente il Paese peggiore al mondo in quanto a rispetto dei diritti delle donne, delle minoranze e per la libertà a dissentire”. Tra le voci più critiche quelle della moglie del blogger saudita Raif Badawi su cui pende una sentenza di 1000 frustrate per il suo dissenso espresso contro la famiglia reale. Ensaf Haidar, che sta guidando una campagna internazionale per la liberazione del martito, ha scritto sul suo account Facebook che offrire all’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad all’Onu a Ginevra un incarico di tale importanza nel campo dei diritti umani, vuol dire “dare luce verde per iniziare a frustarlo”. Nena News
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