Il 15 dicembre si apriranno a Ginevra le negoziazioni per una soluzione politica al conflitto in atto da 9 mesi, in concomitanza con un cessate il fuoco di una settimana accettato sia dalle fazioni yemenite che dalla coalizione anti-houthi. Fondamentale il ruolo del vicino Oman, neutrale dall’inizio delle operazioni belliche, che teme il maxi afflusso di profughi yemeniti
della redazione
Roma, 8 dicembre 2015, Nena News - Colloqui di pace e un cessate il fuoco di sette giorni: si apre uno spiraglio nella mattanza yemenita, a nove mesi dall’inizio della guerra costata la vita ad almeno 6 mila persone. L’inviato Onu Ismail Ould Sheikh Ahmad ha confermato che le principali fazioni in conflitto hanno acconsentito a incontrarsi il prossimo 15 dicembre a Ginevra per negoziare un accordo che ponga fine alle ostilità.
Ci saranno i rappresentanti degli Houthi, la milizia sciita sostenuta dall’Iran che nel gennaio scorso ha occupato la capitale Sanaa chiedendo una maggiore rappresentanza nelle istituzioni del paese; ci sarà anche una delegazione del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, spalleggiato dall’Arabia Saudita, che ha ripiegato a Riyadh e chiesto l’intervento armato di una coalizione anti-sciita; e saranno presenti anche gli uomini di Ali Abullah Saleh, l’ex presidente-padrone dello Yemen deposto nel 2011 che lotta accanto agli Houthi nella speranza di riconquistare il potere.
Ieri in serata è arrivata anche la conferma di un cessate il fuoco che inizierà il 15 dicembre e che durerà una settimana: proposta dall’inviato Onu e accettata da tutti e tre i contendenti, si attendeva solo l’adesione alla tregua della coalizione a guida saudita, che dal 26 marzo scorso bombarda incessantemente il paese nel tentativo di distruggere la guerriglia sciita. La mancata cessazione dei raid sauditi era stata la causa principale del fallimento dell’ultima tregua proposta dall’inviato Onu, lo scorso luglio, violazione dovuta, secondo Riyadh, al fatto che gli Houthi non avessero acconsentito a ritirarsi dai territori conquistati durante i mesi precedenti.
Fondamentale è stata la mediazione dell’Oman, secondo quanto rivelato dalla stampa araba, soprattutto nel dialogo con gli Houthi: nelle ultime settimane, infatti, Mascate avrebbe ospitato una doppia delegazione guidata dal portavoce del gruppo sciita Mohammed Abdul Salam e composta da ribelli houthi e da partigiani dell’ex presidente Saleh per intavolare le discussioni in vista di possibili colloqui di pace a Ginevra.
“L’Oman – ha detto l’analista politico Leon Goldsmith al quotidiano Times of Oman – è essenzialmente diventato indispensabile per gli altri stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo come “l’unico” canale reale per condurre negoziati: la domanda di rilascio dei prigionieri da parte del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi può essere inoltrata agli Houthi solo tramite canali omaniti; allo stesso modo le richieste Houthi per un’intesa su un compromesso politico a lungo termine possono essere negoziate dalla diplomazia dell’Oman”.
L’Oman è l’unico paese del Consiglio di Cooperazione del Golfo a non aver preso parte alla coalizione anti-Houthi (cui partecipano Bahrain, Qatar, Emirati Arabi, Kuwait, Egitto, Marocco, Giordania, Pakistan e Sudan) costituitasi lo scorso marzo dopo un summit di emergenza dalla Lega Araba. Muscat ha preferito restare neutrale, dialogando con Riyadh ma soprattutto con Teheran, con lo scopo di mantenere i suoi rapporti diplomatici di vecchia data con quella che ora è la Repubblica islamica – unico caso tra gli stati del Golfo – in virtù della vicinanza geografica e della comunanza di interessi sia economici che politici.
“L’attuale politica dell’Oman – ha spiegato Hassan Houchang Yari, professore Scienze Politiche Università di Sultan Qaboos al Times of Oman – è coerente con la sua diplomazia globale. I suoi partner del Consiglio di Cooperazione del Golfo comprendono le ragioni di Muscat di non voler partecipare a questa campagna militare. Dopo tutto, l’intera spiegazione dietro l’intervento nello Yemen dei sauditi non è convincente”. Il Sultanato si è anche impegnato nella mediazione per la liberazione di alcuni ostaggi presi dagli Houthi, tra cui tre sauditi, e ha prestato soccorso più volte alla popolazione proprio quando Riyadh bloccava i porti yemeniti e impediva l’accesso degli aiuti umanitari.
Non si tratta però di una neutralità del tutto disinteressata: “Uno Yemen insicuro e distrutto – ha detto Yari – è in grado di produrre ondate di profughi diretti in Oman. Un tale scenario può alterare in modo significativo l’equilibrio demografico del paese e mettere un enorme stress sulle sue risorse”. Secondo il rapporto Onu sui Bisogni Umanitari per il 2016 diffuso in novembre, si stima che 14,4 milioni di persone in Yemen si trovano ad affrontare la crisi alimentare: 7,6 milioni di loro sono in grave situazione di crisi, mentre quasi 320 mila bambini sono “seriamente malnutriti”. Nena News
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