Il caso Khashoggi e l’indebolimento della figura di Mohammed bin Salman, dall’Europa al Congresso Usa, facilitano l’iniziativa dell’Onu intenzionata a giungere stavolta a un vero dialogo per fermare la guerra
di Chiara Cruciati
Roma, 30 novembre 2018, Nena News – Dovrebbero aprirsi la prossima settimana in Svezia i negoziati sponsorizzati dalle Nazioni Unite per un’uscita politica dalla guerra yemenita. Le due delegazioni, quella del governo ufficiale alleato di Arabia Saudita ed Emirati Arabi e quella del movimento Ansar Allah dei ribelli Houthi, arriveranno a Stoccolma tra qualche giorno, accendendo le speranze di un tavolo finalmente concreto.
Si tratta del primo incontro dal 2016. Al momento i commenti arrivano dal comitato rivoluzionario Houthi che ieri ha voluto esprimere il suo sostegno all’impegno dell’Onu e la speranza per “le positive indicazioni sull’importanza della pace dell’altra parte”. Mohammed Ali al-Houthi, su Twitter, ha ribadito la partecipazione al summit “il 3 dicembre se si garantisce che la delegazione possa partire e ritornare”.
Il lavorio diplomatico per giungere all’appuntamento va avanti da mesi, condotto dall’inviato delle Nazioni Unite Martin Griffiths. Era fallito a settembre – l’incontro si sarebbe dovuto tenere a Ginevra – perché gli Houthi non avevano riscontrato interesse ad ascoltare le loro richieste.
Da allora la situazione è ulteriormente degenerata, sia sul piano bellico che su quello politico. Sul fronte di guerra, si è intensificata la battaglia su Hodeidah, città portuale sul Mar Rosso, secondo scalo per importanza del paese dopo Aden e primo ingresso degli aiuti umanitari verso la popolazione civile. I bombardamenti sauditi hanno provocato la fuga di decine di migliaia di persone e ridotto ulteriormente l’arrivo di cargo di aiuti delle agenzie internazionali, fino all’allarme lanciato pochi giorni fa dall’Onu: le compagnie marittime non vogliono più operare ad Hodeidah, le operazioni di scarico si sono ridotte di quasi il 50%.
Altra fame e altre malattie, da tre anni e mezzo la quotidianità per milioni di yemeniti. A ciò si aggiungono i dati raccolti in questi anni da organizzazioni indipendenti che hanno stimato il bilancio delle vittime per atti bellici a 56mila, contro i 10mila finora calcolati dall’Onu. I numeri li ha forniti Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), gruppo indipendente associato all’Università del Sussex.
Eppure solo pochi giorni fa il governo ufficiale del presidente Hadi, in esilio volontario in Arabia Saudita fin dal 2015, ha già rigettato la proposta dell’Onu di assumere temporaneamente il controllo del porto di Hodeidah per garantire l’arrivo degli aiuti alla popolazione. Viola la sovranità del paese, ha detto uno dei ministri di Hadi, dimenticando di specificare l’importanza strategica della città per la guerra e l’asse anti-Houthi. Presa Hodeidah, gli Houthi subirebbero un colpo duro sia sul piano militare che politico. Eppure, come accaduto dal 2015 e nonostante negli ultimi due anni i ribelli siano stati costretti ad arretrare in diverse aree del paese a partire da Aden, l’Arabia Saudita non riesce a vincere la guerra, a sconfiggere definitivamente i combattenti di Ansar Allah.
Ed ecco che si viene alla questione politica: la guerra dimenticata dal mondo oggi è meno dimenticata. A fare il “miracolo” è stato il giornalista dissidente Jamal Khashoggi: la sua morte per mano di agenti sauditi a Istanbul, ha sollevato il velo di ipocrisia internazionale e spinto diversi Paesi a prendere misure punitive contro Riyadh. Stop all’esportazione di armi da parte di Olanda, Danimarca, Finlandia e Germania; sanzioni a 17 cittadini sauditi da parte del Canada; e ora il voto del Senato Usa che ha deciso di mettere in discussione al Congresso l’appoggio statunitense alla coalizione a guida saudita.
La mozione è stata presentata dai senatori Mike Lee e Bernie Sanders ed è passata mercoledì con 63 voti a favore contro 37, provocando una spaccatura tra i repubblicani stanchi ormai di un’alleanza, quella con i Saud, considerata oggi politicamente insostenibile. Per Trump un colpo durissimo sul piano personale visto quanto si è speso a difesa della famiglia reale e sul piano politico, perché mette in dubbio l’intera architettura diplomatica in Medio Oriente.
Il fastidio internazionale verso il principe ereditario Mohammed bin Salman, che da grande riformatore – come veniva ciecamente descritto solo un anno fa da cancellerie e stampa occidentali – è diventato un violatore seriale di diritti umani qual è, si riverbera ovunque. Ora in Argentina dove si è aperto oggi il summit del G20. Bin Salman è stato “accolto” da un’indagine per crimini di guerra, aperta mercoledì da un procuratore argentino, Ramiro Gonzalez, su denuncia di Human Rights Watch. La magistratura argentina dovrà stabilire se il principio di giurisdizione internazionale, parte della legislazione del paese che autorizza a investigare e perseguire crimini contro l’umanità ovunque essi stiano stati commessi. Al momento il procuratore ha chiesto a Hrw di fornire altri dettagli ma servirà l’intervento del ministro degli Esteri che dovrà domandare informazioni a Yemen, Turchia per il caso Khashoggi e alla Corte penale internazionale. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati