Un nuovo documentario della regista anglo-irachena Hoda Yahya Elsoudani affronta il tema della divisione tra Sunniti e Sciiti dal punto di vista di due giovani sorelle
di Hanan Chehata – Middle East Eye
(traduzione di Romana Rubeo)
Quando i toni si scaldano troppo, le due ragazzine vengono allontanate dal parco. Non è una normale lite, ma un acceso dibattito fomentato proprio dalle due bambine.
Le sorelle Nimah, 10 anni, e Sofia, 8, sono le protagoniste di un documentario dal titolo “Why Can’t I be a Sushi?” [“Perché non posso essere un Sushi?” n.d.T.] In questo contesto, il termine sushi non si riferisce alla celebre pietanza giapponese, ma nasce dalla contrazione delle due parole “Sunnita” e “Sciita”, che designano le due principali correnti dell’Islam.
I Sunniti rappresentano il 90% della popolazione musulmana nel mondo, gli Sciiti circa il 10% e, negli ultimi anni, si è registrato un aggravamento dello scontro settario tra i due gruppi. Si tratta di un fenomeno esacerbato dalle guerre, dalle tensioni di natura politica e dalle operazioni geopolitiche condotte in Medio Oriente.
Nel tentativo di analizzare lo scisma tra Sunniti e Sciiti, che appare sempre più insanabile, la regista anglo-irachena Hoda Elsoudani ha deciso di affrontare la questione usando due giovani ragazze come protagoniste della sua inchiesta.
Nel corso di diverse settimane, le sorelline hanno attraversato in lungo e in largo il Regno Unito; hanno parlato di questa divisione settaria con studiosi, storici e comuni cittadini. Fino ad arrivare allo Speakers Corner, il famoso angolo di Hyde Park in cui si tengono dibattiti pubblici. Le reazioni scatenate (toni accesi e irritati) non hanno sorpreso Elsoudani, vista la delicatezza del tema in questo clima di tensione estrema.
Il frutto di un lavoro appassionato
Secondo Elsoudani, il documentario è frutto di un lavoro appassionato. Cresciuta nel Regno Unito, la regista trentenne nasce da genitori iracheni in fuga dalla guerra; da sempre, si interroga sulle questioni legate all’identità. Si auto-definisce una “Sushi”, non perché i genitori siano uno Sunnita e l’altro Sciita; a detta sua, sono “semplicemente musulmani,” perché non vuole che siano loro affibbiate delle etichette.
“Non sono cresciuta con l’idea di appartenere a una setta o a un gruppo, ma tutti tentavano di incasellarmi. Voglio prendere il meglio da entrambi i mondi e mi sento una sorta di combinazione delle due correnti.”
A suo avviso, molti Musulmani fanno fatica ad afferrare questo concetto e hanno anzi un atteggiamento ostile. Molte persone intervistate insistono nel sostenere che bisogna necessariamente scegliere un’identità e che sia impossibile aderire a entrambe le correnti; ma è proprio questa la concezione che Elsoudani intende sfidare.
Oltre alla personale curiosità sulla questione, Elsoudani è stata spinta ad affrontare questo delicato argomento per via di “ciò che accade nel mondo: in Arabia Saudita, in Yemen, in Iran, in Iraq. È come se ovunque si stesse diffondendo un sentimento di crescente ostilità nei confronti dell’“altro” gruppo. Non capisco per quale motivo. Il Corano dice che ‘non c’è alcuna costrizione nella religione’, quindi perché dovremmo ergerci a giudici e obbligare le persone a essere Sunnite o Sciite?”
Uno stile di inchiesta innovativo
Vista la delicatezza dell’argomento, Elsoudani ha deciso di usare uno stile di inchiesta innovativo: le intervistatrici del documentario sono due bambine.
Per lo più, i testi sono stati scritti da Elsoudani, ma le due brillanti e giovanissime ragazze hanno dimostrato un livello di maturità e intelligenza superiore alla media.
Per scegliere le protagoniste, Elsoudani pensava di fare vari provini, ma in realtà Nimahy e Sofia sono state le prime due bambine con cui si è confrontata. Sono le figlie di un caro amico, e la regista ha capito subito che sarebbero state perfette per il ruolo.
“Erano straordinarie,” ha dichiarato al Middle East Eye. “Non sarebbe stato lo stesso, senza di loro”.
La strategia di usare bambine come intervistatrici ha una duplice funzione: da un lato, rende più facile la comprensione sugli aspetti fondamentali della divisione da parte dei neofiti, dall’altro fa capire quanto sia rilevante questo tema per milioni di minori in tutto il mondo, afflitti dalla violenza che nasce dal settarismo.
Gli intervistati erano molto a loro agio, e le loro reazioni più aperte e meno sulla difensiva.
La parola agli esperti
Elsoudani è convinta che la rappresentazione degli Sciiti sia spesso falsata; uno dei suoi scopi principali era proprio dare loro una piattaforma per parlare dei propri valori. “Ho molti amici Sciiti e sento che le persone hanno dei preconcetti nei loro confronti. Sfidare questi pregiudizi era uno dei miei obiettivi. Volevo affrontarli per tentare di abbattere qualche barriera.”
Tra gli intervistati, c’è lo Sceicco Mohammad Saeed Bahmanpour, studioso Sciita.
A una domanda relativa alla differenza tra la dottrina e la pratica Sciita, ammette che “in molte zone, le pratiche dei fedeli non sono conformi alla dottrina degli studiosi Sciiti”.
Inoltre, spiega che, come accade in ogni gruppo religioso, al loro interno gli Sciiti presentano delle disomogeneità e che vi sono correnti diverse. “Tra gli Sciiti, esistono gruppi diversi, così come accade in ogni corrente religiosa; ci sono i Duodecimani, gli Ismailiti, gli Yazidi, tanti gruppi diversi.” E all’interno di questi gruppi, continua, “vi sono estremisti e moderati. Praticanti e non praticanti. Non dovremmo giudicare la fede da questo, ma da come viene spiegata dagli studiosi.” Quando le ragazze gli hanno chiesto perché fosse necessario fare distinzioni del genere tra Musulmani, ha risposto: “Sarebbe bello non farle, ma non è possibile. La verità è che le persone sono diverse e devono rispettarsi, pur nella diversità.”
Ha anche portato un esempio: gli esseri umani si distinguono in uomini e donne; non ci si può sottrarre da questa differenza, ma ci si riconosce comunque come esseri umani.
A proposito, delle “Lotte tra musulmani in nome della religione”, Bahmanpour ha un punto di vista interessante: “Non credo che il punto focale sia la religione. Il problema è politico, e le cause sono spesso da ravvisarsi in fattori che prescindono dalla religione.” Più volte, nel corso del documentario, viene posto l’accento sulle cause politiche dello scisma settario.
Gli oggetti della contesa
Sebbene il documentario non affronti alcuni tra i punti più controversi e delicati della contesa tra i due gruppi, come la questione inerente alla successione dopo la morte del Profeta Maometto o la pratica dell’autoflagellazione, in uso presso alcuni Sciiti e contestata dalla maggioranza dei Sunniti, Elsoundani crede che una delle cause della contrapposizione tra le due correnti sia l’abitudine di alcuni Sciiti di imprecare contro i discepoli e le mogli del Profeta Maometto, tenuti invece in alta considerazione dai Sunniti.
Le ragazze si rivolgono allo Sceicco Arif Abdul Hussain, Direttore dell’Al-Mahdi Institute di Birmingham, e gli chiedono se questa abitudine sia in qualche modo prevista dalla corrente Sciita o, al contrario, proibita.
“È una falsa convinzione,” risponde. “Chi impreca e maledice non è un vero Musulmano. L’animosità, la guerra, l’odio, non possono in alcun modo essere associati a una religione rivelata da Dio.”
Quando Sofia gli chiede se questa prassi potrebbe essere un motivo di divisione tra i due gruppi, prosegue: “In entrambe le sette, vi sono pratiche che oramai sono diventate parte del culto e che sono motivo di conflittualità. Ad esempio, alcuni Sciiti sentono il bisogno di diffamare i Sahaba (discepoli) e le mogli del Profeta. Non è parte della fede Sciita. Ali (nipote e genero del Profeta) rispettava i Sahaba, suoi contemporanei, e loro rispettavano le mogli del Profeta.”
Infine, quando gli hanno chiesto se credesse nella possibilità dell’unità del mondo musulmano, ha risposto senza esitazioni: “Certo che sì, certo che sì”.
Divisione politica o religiosa?
Alcune persone intervistate, tra cui il politico inglese George Galloway, hanno dichiarato che le tensioni sono correlate a divergenze politiche più che teologiche.
Galloway ha ricordato che, in un dato momento, il matrimonio misto tra Sciiti e Sunniti era molto comune in Iraq e Siria; questo dimostra che non c’era ostilità settaria tra i due gruppi. Ha anche dichiarato che a incoraggiare le spaccature sono proprio “coloro che desiderano distruggere” Paesi come la Siria e l’Iraq.
“Chi ha invaso e occupato l’Iraq ha deliberatamente acuito le divergenze tra Sunniti e Sciiti per perseguire i suoi obiettivi. Avevano tutto l’interesse a dividere gli Iracheni per rubare… rubare il petrolio e il denaro, la ricchezza e il futuro del Paese. È logico che vi siano differenze tra Sunniti e Sciiti, ci sono sempre state, ma in Iraq questi argomenti non erano causa di discussione. Il matrimonio misto e l’unione di famiglie Sciite e Sunnite era comune, adesso lo è molto meno.”
Galloway ha dichiarato che in Siria si sta verificando una situazione analoga. “Le tensioni tra Sciiti e Sunniti sono acuite da coloro che vogliono distruggere la Siria: sperano, dividendo il popolo siriano, di potergli sottrarre il territorio.”
La pensa in modo simile anche il Dottor Anas al-Tikriti, Amministratore Delegato della Cordoba Foundation. Quando gli chiedono se creda che sia una questione politica, più che religiosa, risponde: “A mio avviso, la maggior parte dei conflitti tra Sunniti e Sciiti, Musulmani e Cristiani, Musulmani ed Ebrei, ha a che fare con la politica più che con la religione.”
“Molti hanno interesse a farli passare per contrasti religiosi perché sostenere che le tensioni sono finalizzate a scoprire chi sia più religioso aiuta a creare consenso, in quanto le persone vogliono combattere dalla parte di Dio. Quindi dire che si lotta in nome di Dio aiuta ad aumentare i sostenitori. Ma non si tratta di religione; in fondo, si tratta di politica,” ha aggiunto.
C’è un’altra questione fondamentale affrontata nel documentario. Sofia chiede a molte persone: “Qual è la molla che fa scattare il fondamentalismo?” e le risposte sono sempre incentrate su concetti come “la mancanza di istruzione” “l’ignoranza”, “la mancanza di saggezza” o “la mancanza di intelligenza”.
Esempio di coesistenza
Alla fine del documentario, le due sorelline conoscono una famiglia in cui la moglie, la Dottoressa Dr Yusra Al-Mukhtar, è Sciita, e il marito, Al-Hassan Yasin, è Sunnita. Quando chiedono loro a quale corrente apparterrà il figlio, il marito, Yasin risponde: “Suppongo che sarà musulmano, è così che abbiamo scelto di educarlo. Abbiamo deciso che non vogliamo attribuirgli atre definizioni.”
A proposito della loro vita quotidiana e delle differenze di culto, rispondono: “Ci sono più similitudini che divergenze”.
La sorella più piccola, Sofia, sembra felice di aver conosciuto una famiglia mista così serena e si lascia scappare: “Ora che sappiamo che esistono famiglie così, possiamo dormire sonni più tranquilli.”
È fondamentale creare un rapporto di amore e rispetto
Quando le si chiede se abbia cambiato opinione dopo aver girato il documentario, Elsoudani risponde: “Ho visto posizioni estreme da entrambe le parti,” ma insiste: “Sono fermamente convinta del fatto che le persone abbiano il diritto di essere ciò che vogliono e che possiamo essere uniti nonostante le differenze. Quindi no, non ho cambiato idea.”
“Volevo far capire che si può praticare la religione nel modo che si crede più opportuno, in base alle proprie convinzioni, ma bisogna mantenere un legame di amore e rispetto con gli altri. Come mai molti Musulmani vanno d’accordo con persone di altre religioni e non riescono a gestire il rapporto con fedeli che presentano solo lievi differenze?”
“Oggi, è fin troppo facile per Sunniti e Sciiti accusarsi reciprocamente di essere Kaffirs (infedeli), ma è triste e svilente. È una forma di arroganza che non riesco ad accettare.”
Le email sgradevoli che ha ricevuto in seguito alla proiezione del suo lavoro non la fermeranno. Preferisce concentrarsi su chi ha accolto favorevolmente il suo progetto e capito il suo messaggio, se non di unità, quanto meno di necessità di accettazione dell’“altro”.
Elsoudani è in trattativa con diversi canali televisivi per la vendita dei diritti del film, che nel frattempo viene proiettato in numerosi festival in tutto il mondo.
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