Lo Stato Islamico non è un nemico sfruttabile come il Partito Kurdo dei Lavoratori, che può essere usato in Siria e Iraq come in parlamento per uccidere le opposizioni rimaste
di Chiara Cruciati
Roma, 5 novembre 2016, Nena News – Non è la prima volta che accade, che il governo turco storca il naso di fronte alle rivendicazioni degli attentati. Poche ore fa sulla sua agenzia stampa Amaq lo Stato Islamico ha assunto la responsabilità per l’attacco che ha colpito ieri Diyarbakir, capoluogo simbolico del Kurdistan e città devastata da oltre un anno di campagna militare turca. Nove persone sono rimaste uccise (anche se attivisti sul posto denunciano un numero maggiore di vittime, tenuto nascosto dalle autorità) e oltre cento ferite. Subito il governo di Ankara ha accusato il Pkk così da chiudere il cerchio della propria narrativa: a poche ore dall’arresto dei leader dell’Hdp, il Pkk reagisce. La prova che sono l’uno il braccio dell’altro.
Così non è: è stato l’Isis a mettere una bomba di fronte ad una stazione di polizia a Diyarbakir, a pochi giorni dall’appello audio del leader al-Baghdadi che, alle strette a Mosul, invitava i suoi miliziani ad invadere la Turchia. Ma le autorità turche non sembrano scoraggiarsi e insistitono sulla carta del Pkk: lo fanno il governatorato di Istanbul e il premier Yildirim, che continuano a dire che è stato il Pkk.
Perché, nella mente e la propaganda dell’Akp, il partito di governo del presidente Erdogan, il Partito kurdo dei Lavoratori è un nemico molto migliore dello Stato Islamico. È un nemico utilizzabile in tutto il Medio Oriente, è un nemico da sconfiggere per fare prevalere di nuovo spinte nazionalistiche e politiche di potenza attraverso lo schiacciamento definitivo delle ambizioni democratiche kurde. Ed è un nemico da sfruttare per crearsi zone cuscinetto lungo tutto il proprio confine sud, dalla Siria all’Iraq, primo passo verso separazioni fisiche dei paesi vicini e una chiara influenza da parte di Ankara.
In tale contesto l’Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, è l’opposizione da schiacciare. La sola opposizione rimasta, dopo il tentato golpe del 15 luglio che ha cementato intorno al governo dell’Akp tutti i partiti nazionalisti del paese. Al contrario l’Hdp è l’opposizione che non cede su certe questioni e che vede nella riforma costituzionale in senso presidenzialista inseguita da anni da Erdogan un pericolo serio, la definita morte dell’emaciata democrazia turca. E in parlamento, con i suoi 58 deputati, è un ostacolo vero.
La soluzione è mettere quei deputati in prigione. In molti si aspettavano gli arresti di ieri. Sono arrivati ieri: 12 parlamentari sono stati portati in carcere per rispondere alle domande dei giudici che li stanno indagando dopo la sospensione dell’immunità parlamentare, che a maggio ha aperto la strada ai processi politici. Tra loro i co-presidenti Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag. I parlamentari si sono difesi e proseguito sulla via del silenzio: non intendono rispondere ai giudici perché non li riconoscono soggetti legittimi, ma burattini del governo. “Solo la gente che ci ha eletto può farci domande sulle nostre attività politiche – hanno detto alcuni di loro ieri in tribunale – Siamo rappresentanti eletti del popolo. Rappresentiamo chi ci ha votato, non noi stessi. Non permetteremo a nessuno di violare la nostra identità e il volere della gente”.
Immediata la levata di scudi dei paesi alleati europei e dell’Onu: ieri una lunga lista dei leader mondiali si è detta preoccupata, scioccata, allibita per gli arresti. Ma nulla più: eppure non si tratta di detenzioni che spuntano dal nulla. Da anni l’Hdp è nel mirino del governo, che da mesi ne arresta membri e sostenitori o ne sospende i sindaci democraticamente eletti, con l’accusa di sostegno al Pkk sotto varie forme: appartenenza al Pkk, propaganda a suo favore, incitamento alla violenza e alle manifestazioni non autorizzate, partecipazione ai funerali di combattenti e così via.
Non spuntano dal nulla, ma sono parte delle più ampie campagne di purghe lanciate dopo il 15 luglio e il fallito golpe e che ha visto spazzare via opposizioni vere e presunte, la sospensione di 110mila funzionari pubblici, l’arresto di migliaia di loro. E stamattina, dopo gli arresti di 11 giornalisti del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, la procura ha confermato il fermo di nove di loro, tra cui il direttore Murat Sabuncu. Accusati di legami con l’organizzazione dell’imam Gulen e del Pkk, accuse di per sé folli vista la lontananza ideologica tra le due organizzazioni, note nemiche l’una dell’altra. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati