Dichiarazione choc del premier Davutoglu a pochi giorni dalla sentenza della Corte Europea che sanziona Ankara per il licenziamento di un’impiegata pubblica. Ancora una volta si solleva l’ascia del patriarcale maschilismo dell’Akp.
dalla redazione
Roma, 5 dicembre 2014, Nena News – La Turchia che punta all’Europa continua ad essere sanzionata. E le reazioni delle istituzioni non si fanno attendere. Il 2 dicembre la Corte Europea per i Diritti Umani ha stabilito che la compagnia nazionale dell’elettricità deve risarcire l’impiegata Emel Boyraz con 10mila euro per il suo licenziamento.
La donna ha lavorato per tre anni per la compagnia come funzionario della sicurezza per poi essere cacciata lo scorso marzo per il mancato completamento del servizio militare e per non essere un uomo. Secondo la compagnia, il fatto di essere una donna le impediva di svolgere a pieno i suoi doveri: coprire turni notturni, usare armi e forza fisica. Per la Corte, una violazione palese dell’art. 14 della Convenzione Europea per i Diritti Umani contro la discriminazione, che costerà alla Turchia 10mila euro. Una somma irrisoria, ma che dà la misura delle differenze di trattamento tra uomini e donne in un paese che si dichiara una sana democrazia.
Indirettamente, alla sentenza della Corte, ha risposto il premier Davutoglu che ieri ha attribuito il tasso di suicidi alla “uguaglianza meccanica” di genere. In un discorso pubblico tenuto ieri al meeting organizzato dalle donne del partito Akp, Davutoglu ha arbitrariamente legato l’uguaglianza tra uomini e donne al numero di suicidi: “Perché il Pil dei paesi più sviluppati – come nei paesi scandinavi – è ad alti livelli, ma lo è anche il tasso di suicidi. Perché?”.
Secondo il premier perché “l’uguaglianza meccanica distrugge la relazioni complementari”: “Dal momento che le nostre donne stanno adempiendo alla missione divina di mantenere in vita l’umanità, allora hanno il diritto al riposo prima e dopo essere diventate madri e aver dedicato tempo ai loro figli. Non si tratta di un favore, ma del pagamento di un debito”.
Ovvero, le donne restino a casa a fare da madri, mogli e casalinghe e lo Stato si impegnerà a promuovere questo status quo e a premiarle per la scelta. Una dichiarazione che ha poi cercato di bilanciare affermando che il suo stesso partito si è impegnato a incrementare fino al 25% il numero di parlamentari donne, che oggi è fermo per l’Akp al 14,5%.
Ma tali dichiarazioni non sono una novità dentro un governo che dalla salita al potere di Erdogan punta a islamizzare una società tradizionalmente laica e a fare della discriminazione e della repressione delle voci critiche una delle colonne portanti dell’agenda politica. E a introdursi con violenza nella vita privata dei cittadini, indicando alle donne come vestirsi e quanti figli mettere al mondo.
Pochi giorni fa lo stesso presidente Erdogan aveva detto che la parità di genere è contraria alla natura e che le femministe non riconoscono il valore della maternità. Secondo il presidente, la natura “delicata” delle donne fa sì che non possano occupare certe posizioni, come un uomo: “Non puoi mettergli un piccone in mano e farle lavorare, non è questo il modo”.
Di nuovo, nel solco del peggior sciovinismo e patriarcale maschilismo, certi poteri definiscono la parità di genere come risultato di un’uguaglianza di mansioni, e non – come dovrebbe essere – di diritti e opportunità. Un solco che trova la sua espressione in gran parte dei paesi del mondo, a partire da quelli che si definiscono democratici e sviluppati, e che usa la falsa necessità di protezione delle donne da parte dell’autorità-uomo per escluderle dalla vita politica, economica e sociale del paese. Nena News