Scontri in corso nel campo profughi palestinese tra esercito governativo e islamisti: almeno 26 i morti, ma fonti mediche parlano di 200 vittime. A Mosca la Coalizione Nazionale non si presenta e snobba il tavolo del negoziato.
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 7 aprile 2015, Nena News – A Mosca si discute, a Yarmouk si muore. Nel giorno in cui si apriva il nuovo round di negoziati promosso dalla Russia, tra Damasco e una sparuta delegazione di opposizioni moderate, nel campo profughi palestinese a sud della capitale la situazione arrivava «oltre il disumano». Così Chris Gunness, capo dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, descriveva ieri il più grande campo profughi del Medio Oriente.
Dall’assalto mosso dallo Stato Islamico la scorsa settimana è ulteriormente peggiorata la vita dei 18mila palestinesi residenti a Yarmouk, il 10% della popolazione prima dello scoppio della guerra civile siriana. Perché già da allora Yarmouk è target, delle opposizioni e del governo, costretto ad un assedio di due anni che ha portato decine di persone alle morte per denutrizione.
Ieri agli scontri tra gruppi armati palestinesi, in primis Aknaf Beit al-Maqdis, vicino ad Hamas, si sono aggiunti quelli tra il governo e gli islamisti: bombardamenti e guerriglia urbana, a cui potrebbe seguire una più ampia controffensiva da parte di Damasco. Giovedì scorso, il giorno dopo l’assalto, sembrava che i combattenti palestinesi fossero stati in grado di respingere, alcuni armati solo di coltelli, i miliziani dello Stato Islamico. Così non è stato e Damasco si è mossa, terrorizzata dalla possibilità di una crescita incontrollata dell’Isis nella roccaforte presidenziale.
Secondo testimoni, l’Isis ha il controllo della gran parte del campo, i miliziani dispiegati lungo quasi l’intero perimetro, impedendo l’ingresso di aiuti umanitari ad una popolazione letteralmente stremata. Domenica un centinaio di rifugiati è riuscito a scappare, ma la gran parte resta intrappolata all’interno. Da mercoledì i morti civili sarebbero già 26, anche se fonti mediche parlano di 200 vittime.
Le notizie che giungono da Yarmouk si confondono: fonti parlano di un’alleanza tra Isis e Fronte al-Nusra, tra i pochi gruppi rimasti dentro il campo dopo l’accordo stipulato tra Esercito Libero e governo nel febbraio 2014; altre di una coalizione di palestinesi e qaedisti per respingere l’offensiva del califfato. Per ora al-Nusra, ufficialmente, si dichiara neutrale, più interessata a rafforzarsi a nord, dove la scorsa settimana ha preso Idlib, altra roccaforte governativa.
Proprio ad Idlib ieri il gruppo qaedista avrebbe portato 300 kurdi rapiti mentre viaggiavano verso Damasco. Mentre Stato Islamico e al-Nusra spadroneggiano in Siria, assumono il controllo di oltre un terzo del paese, si mostrano come le sole forze in grado di confrontare Assad, le opposizioni moderate incensate dall’Occidente si prendono libertà che non possiedono: boicottare i colloqui di Mosca. Dopo aver aperto ad Assad e poi chiuso, dopo aver accettato il tavolo russo e poi averci ripensato, la Coalizione Nazionale non si è presentata ieri per il primo giorno di negoziato.
A rappresentare i ribelli solo l’Nccdc (National Coordination Committee for Democratic Change). Difficile che una delegazione tanto piccola e poco rappresentativa possa lavorare ad una transizione politica credibile. Eppure Stati uniti e Ue continuano a garantire aiuti militari e denaro in quantità ad un’opposizione, la Coalizione, così cieca da non comprendere che per salvarsi dovrebbe sedersi al tavolo col nemico.
Ieri le parti si sono accordate su un’agenda di 5 punti da discutere: una valutazione dell’attuale situazione; l’individuazione di misure umanitarie per la popolazione; una road map per riavvicinare governo e opposizioni; l’assunzione di misure per la riconciliazione nazionale; la preparazione di Ginevra 3.