Mosca interrompe le ostilità unilateralmente, non si conoscono i gruppi di opposizione coinvolti. Una misura presa a poche ore dall’attacco verbale di Kerry. Ma nessuna delle parti pare interessata al dialogo
della redazione
Roma, 16 giugno 2016, Nena News – Quarantotto ore di cessate il fuoco su Aleppo: lo ha annunciato questa mattina il Ministero della Difesa russo a poche ore dalle frecciate lanciate dalla controparte statunitense. Questa mattina la tregua, unilaterale, è entrata in vigore in una delle città più massacrate dalla guerra civile: “Su iniziativa russa, un ‘regime di silenzio’ è stato introdotto ad Aleppo per 48 ore a partire dalle 00.01 del 16 giugno, con l’obiettivo di abbassare il livello della violenza armata e di stabilizzare la situazione”, si legge nel comunicato del Ministero.
Nulla si dice sui gruppi avversari eventualmente coinvolti, ovvero le opposizioni armate riconosciute come legittime dal processo di pace di Ginevra delle Nazioni Unite. Di certo non ne fanno parte Stato Islamico, alle porte orientali di Aleppo, e i qaedisti di al-Nusra che controllano quartieri all’interno della città, in particolare a sud ovest. Ma, come detto più volte nelle ultime settimane (quelle che hanno visto un incremento drammatico degli scontri e il conseguente aumento del numero di vittime civili), il problema principale è distinguere nel composito campo di battaglia di Aleppo chi è opposizione legittima e chi non lo è.
Una situazione figlia della confusione geografica – le opposizioni sono sparse in tutta la città – e delle affiliazioni militari: gruppi salafiti come Ahrar al-Sham e Jaysh al-Islam sono stati accolti al tavolo del negoziato sebbene siano chiari alleati sul terreno del Fronte al-Nusra, con cui proprio ad Aleppo conducono azioni congiunte. Chi colpire, dunque?
È il caos che regna e che impedisce al dialogo di proseguire: chiaro è il fallimento dei nuovi tentativi negoziali dell’Onu che pochi giorni fa ha deciso di rimandare tutto a data da destinarsi. Perché, nonostante la tregua iniziata il 27 febbraio di quest’anno, gli scontri e i raid proseguono. Lo stallo è stato oggetto delle dichiarazioni di ieri del segretario di Stato Usa Kerry che se l’è presa con la Russia: “A meno che non diamo una migliore definizione di cessazione delle ostilità, non resteremo immobili mentre Assad continua ad assaltare Aleppo e la Russia continua a sostenere questo sforzo”, ha detto da Oslo. La pazienza, dice Kerry, “non è infinita” e Mosca “deve capire che è molto limitata”.
Che il cessate il fuoco sia una coperta, troppo corta, è palese. Ma la colpa – come spesso accaduto nella guerra civile siriana – non è di una parte sola: il nord della Siria, e Aleppo in particolare, sono preda troppo succosa per i due fronti avversi per non proseguire nelle rispettive avanzate. A pagarne il prezzo sono i civili che continuano a fuggire, quando possono, o a morire: solo nella prima settimana di Ramadan, quella appena trascorsa, secondo le organizzazioni locali, le vittime civili sono state almeno 148, di cui 50 bambini. Morti in raid del governo, come quelli ad Idlib, o per gli attacchi suicidi e i missili delle opposizioni, come nella provincia occidentale di Latakia.
Nell’assenza pressoché totale di dialogo si muove con abilità lo Stato Islamico che, seppur messo sotto pressione ad est dai kurdi di Rojava e dalle truppe governative, colpisce tutto il paese con i kamikaze. A facilitarlo è l’assenza di una strategia unica dei due fronti contro un nemico teoricamente comune. Alle ripetute richieste russe di coordinamento militare con la coalizione guidata da Washington, gli Stati Uniti hanno sempre risposto negativamente. E se nella pratica un parziale coordinamento è in essere, non basta a eliminare il cancro del “califfato”, il cui indebolimento non farebbe che giovare ad un reale negoziato interno. Che ad oggi, però, non sembra nell’interesse né di Damasco né delle opposizioni. Nena News