Ordigni nel sito archeologico. Con un obiettivo ancora poco chiaro: frenare l’avanzata dell’esercito di Damasco o sostituire l’identità storica araba con quella islamica. In Israele attaccata da drusi un’ambulanza che trasportava feriti siriani, forse miliziani delle opposizioni a Damasco
della redazione
Roma, 22 giugno 2015, Nena News – Palmira di nuovo nel mirino: lo Stato Islamico avrebbe minato le antiche rovine della città romana in Siria, ad un mese dalla sua occupazione. Lo riportano sia l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani che Mamoun Abdulkarim, capo del dipartimento delle antichità di Damasco: “Abbiamo ricevuto informazioni preliminari dai residenti: hanno minato il sito del tempio. Siamo preoccupati. Facciamo appello ai capi tribali, religiosi e ai residenti di impedirne la distruzione”, ha detto Abdulkarim.
Le mine sarebbe state poste all’interno del sito archeologico, il più antico del paese, sabato scorso. Ancora non chiari gli obiettivi: ritardare l’eventuale controffensiva dell’esercito siriano o distruggere la storia della Siria?
“Non è chiaro se l’obiettivo sia far saltare in aria le rovine o impedire alle forze del regime di entrare in città”, ha commentato il direttore dell’Osservatorio, Rami Abdel Rahman. Se si trattasse di una tattica militare anti-Damasco, troverebbe conferma nei bombardamenti compiuti ripetutamente negli ultimi tre giorni da parte dell’aviazione siriana contro la zona residenziale di Palmira, Tadmur, la città nuova sorta ai margini del sito archeologico patrimonio Unesco dove vivono 50mila persone. Undici i morti. “L’esercito si trova a ovest della città e negli ultimi giorni ha ricevuto rinforzi: forse stanno pianificando un’operazione per riprendere Palmira”, ha aggiunto Rahman.
Una possibilità concreta visto lo smacco subito da Damasco esattamente un mese fa con la caduta della città: con l’occupazione di Palmira, per la prima volta lo Stato Islamico ha strappato una comunità direttamente al controllo del governo di Assad, infiltrandosi nel centro del paese e diventando quindi una chiara minaccia alla costa ovest, ancora roccaforte governativa.
Se, al contrario, si trattasse della preparazione alla distruzione di Palmira, l’obiettivo sarebbe più propagandistico che militare. Il cosiddetto califfato è un progetto transnazionale fondato non sull’identità araba (l’obiettivo del panarabismo di Nasser) ma su quella islamica. La demolizione e la cancellazione della storia pre-Islam dei luoghi occupati diventa così per l’Isis uno strumento per imporre una nuova identità, quella del fanatismo religioso lontano anni luce dalla cultura religiosa e storica del Medio Oriente, fondato su un’interpretazione personale e estremista del Corano.
Palmira è ancora in piedi ma è stata già violata: dal 21 maggio scorso sono oltre 200 le persone giustiziate dai miliziani di al Baghdadi, di cui almeno 20 uccise proprio tra le rovine della città antica. Il timore di Damasco è che possa accadere quanto successo già in Iraq, dove l’Isis ha preso di mira siti archeologici antichissimi, musei, biblioteche. Con un obiettivo chiaro: cancellare la ricca identità e le molteplici radici storiche del paese per sostituirle con quelle islamiche.
Una minaccia che riguarda tutte le minoranze. Tanto da coinvolgere nella lotta agli islamisti di al-Nusra e Isis anche i drusi, residenti in Galilea: ieri un gruppo di drusi ha attaccato un’ambulanza israeliana che trasportava due feriti siriani in un ospedale in Israele. Secondo i drusi, a bordo ci sarebbero stati miliziani dell’opposizione siriana, come già successo in passato e documentato da rapporti delle Nazioni Unite.
Petraeus: “Milizie sciite più pericolose dell’Isis”
Mentre Iraq e Siria vengono smembrate dall’avanzata dell’Isis e dall’inefficacia dell’intervento della coalizione guidata dagli Usa, proseguono gli screzi tra Washington e Baghdad. Stavolta a parlare è l’ex capo della Cia, David Petraeus che in un intervista al quotidiano al-Sharq al-Awsat arriva a dire che la vera minaccia all’unità dell’Iraq non è lo Stato Islamico ma le milizie sciite.
“Queste milizie potrebbero rappresentare una grande minaccia sul lungo termine all’unità del paese, più dell’Isis. Dobbiamo essere preoccupati perché le milizie sciite non riconoscono l’autorità dello Stato”. Eppure si tratta di gruppi di volontari (organizzati nelle Unità di Mobilitazione Popolare, circa 40 milizie, molte delle quali direttamente o indirettamente gestite dall’Iran) che ad oggi hanno segnato i punti più concreti nella lotta contro lo Stato Islamico. Dall’altra parte, la loro ingombrante presenza sta rallentando il reclutamento di miliziani sunniti e delle milizie tribali.
Ma la colpa è difficilmente imputabile ai gruppi sciiti, nonostante i tentativi chiari di appropriarsi della guerra agli islamisti (come si vide bene nel nome dato all’operazione per riprendere Ramadi, battezzata “Al tuo servizio, Hussein”, nipote di Maometto, riferimento spirituale sciita). Al contrario, andrebbe imputata da una parte al governo di Baghdad, incapace di coinvolgere la comunità sunnita sia nelle forze armate che nella gestione politica del paese; dall’altra proprio agli Stati Uniti che tanto hanno fatto in otto anni di occupazione per marginalizzare quella comunità che era punto riferimento della rete di potere messa in piedi dall’ex rais Saddam Hussein. Nena News
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