Proteste in diverse città dopo la candidatura ufficiale. Il secondo figlio del colonnello Muammar ricercato dall’Aja: resta valido il mandato d’arresto. Difficile dire se la sua corsa proseguirà fino alle elezioni, ma resta il dato politico: i Gheddafi non sono più il passato
di Roberto Prinzi – il Manifesto
Roma, 16 novembre 2021, Nena News – Ha presentato la candidatura recandosi personalmente domenica alla sede della Commissione elettorale della città meridionale libica di Sebha. Come fosse un uomo comune e non il secondogenito del defunto leader libico Muammar Gheddafi, deposto nel 2011 dalle bombe della Nato.
Così è tornato sulla scena pubblica dopo 10 anni di assenza il 49enne Saif al-Islam, personalità di primo piano del regime del Colonnello: era considerato il volto moderno della Libia grazie anche al suo programma di liberalizzazione economica. Il suo ritorno in campo era atteso da tempo: in un’intervista pubblicata sul New York Times a luglio, aveva già manifestato l’intenzione di candidarsi alle elezioni.
Negli ultimi giorni, poi, alcune fonti locali avevano riferito che avrebbe parlato alla stampa per annunciare il sostegno ad uno dei candidati presidenziali in alternativa alla sua corsa. Che invece è arrivata domenica a meno di 48 ore dalla Conferenza internazionale sulla Libia di Parigi dove si è cercato di preservare a tutti i costi la data delle presidenziali e parlamentari per il 24 dicembre.
Saif è ricercato dalla Corte penale Internazionale (Cpi) per presunti crimini contro l’umanità e contro di lui è stato spiccato un mandato di cattura da parte della Procura militare della Libia. Proprio il Cpi ha fatto sapere ieri che il suo status legale non è cambiato, per cui resta valido il mandato di arresto nei suo confronti.
La possibile presenza alle presidenziali di un uomo con la sua biografia non poteva non suscitare proteste in un Paese fortemente lacerato tra ovest ed est: alcuni centri elettorali in diverse città della Libia occidentale sono stati chiusi per protesta all’annuncio della sua candidatura. A far sentire la loro voce sono state soprattutto le fazioni protagoniste della «Rivoluzione del 17 febbraio» che operarono per rovesciare il regime libico del 2011.
«Chi crede che la Libia possa tornare all’era della dittatura dopo tutti questi sacrifici si sbaglia», si legge in una loro nota. A Zawiya i leader locali hanno protestato anche contro la possibile candidatura del generale cirenaico Haftar, il capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico. Che ormai appare imminente secondo quanto ha riferito la tv panaraba al-Arabiya.
Il ritorno di Saif ha già aperto il dibattito tra gli analisti: la candidatura resterà o verrà alla fine rigettata? Al momento è difficile fare previsioni in un Paese dove la situazione è fluida e dove le stesse presidenziali e parlamentari del 24 dicembre sono seriamente a rischio.
Ma qualunque sia la risposta a questo interrogativo, resta il dato politico: i Gheddafi non sono più storia in Libia, né un’intervista giornalistica. E nemmeno sono solo un rilascio per facilitare la «riconciliazione nazionale» come è stata la liberazione a settembre dell’altro figlio del Colonnello, Saadi. Ma sono invece parte politica attiva. Uno smacco per i «rivoluzionari» del 2011 e i loro padrini occidentali. Nena News