Anni di guerre sanguinarie e di contrasti tra ribelli, miliziani e governo. Obiettivo: contendersi le ricchezze del territorio congolese che va dall’Ituri al Katanga. Solo pedine le formazioni ribelli in Congo e i capi guerriglieri, la missione internazionale, l’esercito regolare congolese FARDC e i faccendieri rwandesi
di Federica Iezzi
Kinshasa (RDC) - Terre espropriate e diritti violati. 72 milioni di abitanti in una regione ricca di foreste, diamanti, oro e soprattutto di coltan, minerale usato in elettronica. Questo il riassunto della vita nel Congo-Brazzaville e nel Congo-Kinshasa.
Le milizie ribelli del cosiddetto Movimento per il 23 marzo (M23), continuano ad affliggere il nord Kivu, la regione più orientale della Repubblica Democratica del Congo.
Da metà ottobre, almeno 200 vittime. Radice degli attacchi, i ribelli delle Forze Democratiche Alleate e dell’Esercito Nazionale di Liberazione dell’Uganda.
Il traffico di coltan, ma anche di oro e diamanti, frutterebbe oggi ai guerriglieri circa un milione di dollari al mese, che sarebbero, in circonvoluzioni senza fine, reimpiegati per finanziare la guerra contro il governo di Kinshasha.
Con la cattura del generale Laurent Nkunda nel 2009, leader del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), si raggiunse un accordo che prospettò la rimozione delle truppe dal Kivu e l’evoluzione del CNDP in un partito politico tradizionale.
Il trattato di pace in questione venne firmato il 23 marzo 2009 ed è proprio a questa data che il nuovo gruppo di ribelli fa riferimento, per sottolineare il carattere fallimentare di quegli accordi.
I membri dell’M23 sono prevalentemente di etnia Tutsi e la loro opposizione al governo nazionale ha origine proprio nel conflitto irrisolto tra Hutu e Tutsi in Rwanda.
L’M23 ha iniziato le sue attività nell’aprile scorso, quando alcune centinaia di soldati hanno disertato l’esercito del Congo, lamentandosi per le condizioni di vita a cui sarebbero obbligati, e unendosi agli insorti di etnia Tutsi, guidati dal generale Bosco Ntaganda.
Nello stesso periodo il governo centrale del Congo, retto da Joseph Kabila, ha minacciato di trasferire via dal nord e dal sud Kivu i soldati del CNDP. L’annuncio ha provocato un ulteriore aumento delle diserzioni e la decisione dell’M23 di marciare verso Goma, la capitale della provincia.
Negli ultimi 20 anni, nella regione orientale del Paese, vicino al confine con l’Uganda, la cittadella di Beni, centro commerciale e roccaforte della milizia ugandese ADF-NALU, è stata martoriata dai gruppi ribelli.
Si ripete la spirale di fredda violenza nonostante la costante presenza della missione ONU MONUSCO, a protezione dei civili disarmati.
Con l’opera delle forze di pace delle Nazioni Unite, i 3000 peacekeepers di Sud Africa, Tanzania e Malawi, e con l’aiuto delle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo, si è riusciti a ridurre da 55 a 21 i gruppi armati ribelli, nelle regioni orientali del Paese.
Sono ormai saliti a 88.500 gli sfollati nel territorio di Beni e di Walikale, secondo gli ultimi dati dell’UNHCR.
Il conflitto degli ultimi cinque anni ha visto lo scontro tra le forze governative, sostenute da Angola, Namibia e Zimbabwe, e i ribelli, appoggiati da Uganda e Rwanda.
Gran parte delle attività dei ribelli è costituita da abusi contro i civili e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali, che si tratti di metalli, avorio o legno. Le grandi quantità di oro, rame, diamanti e di coltan, trasformato poi in tantalio, sono gli incentivi economici perchè la guerra continui.
Le donne e le bambine sono l’obiettivo della guerra che si trascina da 20 anni nell’est del Congo. Gli stupri sono diventati il modo per distruggere il popolo. Non si tratta di un singolo soldato che come per un gioco spietato violenta una ragazzina, ma di un uso sistematico della violenza sessuale per annientare l’umanità delle persone. Si stima che vengano violentate più di mille donne ogni giorno.
La guerra civile, scoppiata nel Congo orientale, oggi ormai coinvolge nove nazioni africane e ha direttamente influenzato la vita di 50 milioni di congolesi.
Educazione, giustizia, e sistemi sanitari sono crollati. Nonostante l’enorme ricchezza di risorse naturali, la Repubblica Democratica del Congo rimane uno dei paesi più poveri del mondo, con un PIL procapite di soli 171 dollari.
L’ultimo decennio di guerra nel Congo è costato oltre 5 milioni di vite. A questo si aggiunge una riduzione di aiuti umanitari da parte del World Food Programme, per cui più di 4 milioni di abitanti del Congo orientale sono oggi a rischio malnutrizione. Nena News