Un modello di leadership collettiva, lontano dalle strutture fallimentari dell’Anp e l’Olp, potrebbe portare i palestinesi sul percorso verso l’autodeterminazione, scrive Alaa Tartir
di Alaa Tartir – Middle East Eye
Traduzione di Nena News
Ramallah, 31 maggio 2019, Nena News – Con le vorticose voci sullo stato di salute di Mahmoud Abbas, il dibattito monta nei circoli politici statunitense e israeliano su chi succederà all’83enne presidente palestinese.
Anche media e think tank si sono uniti, discorrendo di nomi, presentando contendenti e speculando su come un eventuale processo di transizione, o la sua assenza, possa essere. Con il loro mantra “prima di tutto la stabilità”, i funzionari della sicurezza palestinese sono in cima alle liste.
Ma da una prospettiva palestinese questa dinamica dovrebbe innescare un serio e a lungo atteso dibattito sulla revisione dei sistemi politico e di governance palestinesi, così come dell’intera questione della leadership politica.
Rottamare la regola dell’uomo solo
Tre cose potrebbero aiutare a costruire un sistema politico inclusivo e partecipatorio, che darebbe forza ai palestinesi nel loro percorso verso l’autodeterminazione, la statualità e una democrazia di senso.
Primo, il modello della leadership di un uomo solo deve essere rimpiazzato con una forma collettiva di leadership. Il modello del “leader supremo” non solo è obsoleto, disfunzionale e anti-democratico, ma ha anche danneggiato la lotta palestinese e il progetto di liberazione nazionale.
I palestinese e il loro viaggio verso l’autodeterminazione hanno sofferto conseguenze estremamente negative a causa degli stili personalizzati e contradditori di governance negli anni (dall’arafatismo al fayyadismo all’abbasismo) e dei paradigmi da one-man-show che hanno adottato. È tempo di seppellire quel modello di amministrazione e immaginare un modello collettivo di leadership.
Seppure in teoria il modello di leadership dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) è collettiva per natura, nella pratica è tutto tranne che questo. Per questo l’Olp è stato cooptato dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) e perché dopo l’Anp è stata cooptata da Israele – il potere occupante – privando il popolo palestinese in Cisgiordania e a Gaza del loro potenziale di trasformazione.
Ed è anche per questo che i palestinesi sono stati alienati dal cuore del sistema politico palestinese e perché infine sono sottoposti all’occupazione israeliana e l’autoritarismo palestinese. Il modello del leader unico – che si tratti del padre della nazione (Yasser Arafat), del partner della pace (Abbas) o del tecnocrate internazionalmente sostenuto (Salam Fayyad) – ha miseramente deluso il popolo palestinese.
Consigli di supervisione
È inoltre tempo di ripensare le posizioni e i titoli di presidente dell’Olp e presidente dell’Olp e i loro simbolici orpelli di statualità e demolirli entrambi.
Il popolo palestinese ha bisogno di un comitato eletto di leader – un piccolo gruppo (idealmente quattro, con rappresentanti di entrambi i sessi) che formino un ufficio politico in cui ognuno assume responsabilità diverse ma complementari e con identico peso politico. Uno potrebbe occuparsi degli affari interni e sociali, uno di quelli esteri, uno degli affari economici e di sviluppo e uno di edcuazione e giovani.
Questa divisione del lavoro al livello della leadership assicurerebbe che il progetto nazionale non sia dirottato da un solo leader e dal suo partito politico, la sua visione e il suo programma. Assicurerebbe maggiori responsabilizzazione, trasparenza, inclusività e effetti positivi dall’alto verso il basso sulla vita quotidiana dei palestinesi.
L’ufficio politico non funzionerebbe in un vuoto, ma al contrario sarebbe sostenuto e controllato da due diversi consigli di supervisione: uno formato dagli anziani e uno dai giovani (sotto i 35 anni di età). I due consigli, con uguale equilibrio di genere e rappresentativi dei diversi gruppi, classi e località – e non più ampi di 15 membri l’uno, in carica fino a tre anni – giocherebbero un ruolo cruciale nel formulare strategie e rivedere la loro implementazione.
Un governo ombra
Uno potrebbe giustamente chiedere: e il Consiglio Legislativo palestinese (Plc) e il Consiglio Nazionale palestinese (Pnc)? Perché aggiungere altra burocrazia alle esistenti e complesse strutture e burocrazie?
Sono domande valide, ma risponderei che proprio a causa dell’assenza di simili consigli né il Plc né il Pnc sono effecienti, efficaci, rappresentativi e legittimi. Plc e Pnc sono stati facilmente ingurgitati dalle politiche di fazione e da stili personalizzati di governance.
I due consigli di anziani e giovani aiuterebbero a soddisfare i pilastri della responsabilizzazione dentro il sistema politico palestinese, aggiungendo i necessari pesi e contrappesi. Il loro ruolo sarebbe di supervisione e consiglio per natura, non sarebbero corpi legislativi, esecutivi o giudiziari. Ma il loro potere deriverebbe dalla loro capacità di esporre i leader, sostenere visioni nazionali e rendere tutti giudicabili.
Inoltre i vari corpi presentati sopra sceglierebbero il primo ministro perché formi un governo e un vice primo ministro, con una delle due cariche ricoperte da una donna. Con il premier che nomina i ministri, l’opposizione dovrebbe organizzarsi in un governo parallelo con posizioni ombra, simili al modello Westminster.
Questo governo ombra non sarebbe completamente sviluppato, come nelle democrazie stabili, ma adattato alla realtà palestinese. L’idea è quella di garantire migliore responsabilizzazione e maggiore inclusività nelle strutture politiche palestinesi.
Il cammino avanti
Questo triangolo di leadership collettiva, consigli di anziani e giovani e governo ombra potrebbe sembrare irraggiungibile a causa dell’attuale realtà di occupazione israeliana, divisioni interne palestinesi, frammentazione verticale e orizzontale, il contesto degli Accordi di Oslo e l’immaginata soluzione dei due Stati. Questo piano potrebbe apparire irrealistico, distante dalla realtà dell’oggi e anche troppo liberale e naif.
Eppure è anche ovvio che né i modelli di governance di Olp e Anp né l’impalcatura di Oslo hanno lavorato a favore del popolo palestinese. Dunque, perché continuare a manovrare dentro questi contesti, tentate di aggiustare l’inaggiustabile?
È tempo di nuovi modelli non convenzionali di leadership, una visione futura a cui i palestinesi potrebbero lavorare insieme, invece di restare intrappolati dentro una struttura politica marcia che non è in grado di dare soluzioni di senso o durevoli.
Queste tre idee sollevano molte domande, quali prerequisiti sarebbero necessari per garantirne la realizzazione, come potrebbe essere chiaramente definito un piano di azione, quali attori potrebbero guidare il processo di cambiamento, se possa funzionare nonostante l’occupazione israeliana e come si applicherebbero da Gaza e la Cisgiordania ai palestinesi in Israele e nella diaspora.
Per questo abbiamo bisogno di un dibattito serio sui sistemi palestinesi politico e di amministrazione. Questo processo è intrinsecamente legato a quello di raggiungimento della libertà e l’autodeterminazione: solo quando immagineremo modelli e strutture politiche differenti potremo trasformare questa visione in realtà.