Organizzazioni tunisine e internazionali si dicono “profondamente preoccupate” per la creazione di un organismo di regolamentazione per la comunicazione audiovisiva e per il recente divieto di un quotidiano. Continuano le proteste sociali nel sud del Paese
della redazione
Roma, 4 maggio 2017, Nena News – Peggiora lo stato della libertà di stampa in Tunisia. A denunciarlo sono state ieri, in occasione della giornata mondiale della libertà della stampa, 25 organizzazioni internazionali e locali. Tra queste, il sindacato dei giornalisti tunisini, Reporter senza Frontiere (RSF) e Amnesty International (AI). Le ong si sono dette “profondamente preoccupate” per la creazione da parte di Tunisi di un organismo di regolamentazione per la comunicazione audiovisiva. “Nelle ultime settimane il governo tunisino continua a stringere la sua morsa sui media – si legge nel loro comunicato – inoltre è la prima volta da quando è terminata la dittatura [di Zine el-Abidine Ben Ali] che un quotidiano viene vietato”. Il riferimento è ad un piccolo quotidiano locale la cui circolazione è stata recentemente proibita dalle autorità locali. Una morsa che ha riportato (in parte) molti tunisini indietro con la mente ai tempi del deposto Ben Ali dove l’intera informazione era in suo controllo. La sua caduta – secondo molti analisti “l’unica primavera araba” riuscita – ha permesso ai tunisini di godere di una libertà di espressione senza precedenti che, secondo uno studio di RSF, ha permesso al Paese di essere al primo posto nella classifica della libertà di espressione nel Nord Africa.
Amnesty ha anche chiesto però alla Tunisia di “dimostrare il suo impegno [nel rispetto] dei diritti umani”, soprattutto per quel che riguarda la tortura e la discriminazione di genere. “Mentre il Paese ha compiuto dei progressi e aperture in campo politico e civile introducendo alcune riforme – ha osservato la direttrice di AI nel Nord Africa, Heba Morayef – il settore della sicurezza è rimasto per lo più invariato. Negli ultimi anni c’è stato un ritorno delle violazioni rimaste impunite”.
Ma non è solo l’attacco alla libertà d’espressione a destare le preoccupazioni dei tunisini. Il Paese è attraversato da tempo da ondate di proteste e scioperi per la mancanza di lavoro, per la corruzione e per una forte marginalizzazione di alcune regioni. Emblematico, ad esempio, quanto accaduto la scorsa settimana a Tatouine (500 km a sud di Tunisi) dove il primo ministro Youssef Chahed ha dovuto interrompere un incontro nel comune della città dopo essere stato contestato da decine di manifestanti al grido “Lavoro! Libertà! Dignità nazionale”. Parole che riprendono uno degli slogan più ripetuti nei giorni della rivolta anti Ben Ali a testimonianza del fatto che qui la “rivoluzione” salutata in Occidente e decantata da Tunisi non ha portato un cambiamento reale nelle condizioni di vita della popolazione.
La dura opposizione a Chahed ha avuto immediate conseguenze politiche: il governo ha infatti deciso di sostituire due alti ufficiali nominando Mohammed Ali Barhoumi come governatore di Tatouine e Mohammed Cherif come vice prefetto. Una fonte governativa citata dall’Afp ha poi riferito che è stato rimosso anche il capo della Guardia Nazionale e che un destino simile attende altri ufficiali. Una reazione rabbiosa, quella di Chahed, che non può far però dimenticare i fallimenti della politica in campo sociale ed economico in alcune zone del Paese.
Eppure la sua visita sembrava lasciar sperare per il meglio: il premier, accompagnato da alcuni ministri, si era recato in città per annunciare alcune nuove misure che dovrebbero portare alla creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppare l’area. Soltanto promesse vane per i cittadini di Tatouine che, stanchi per le condizioni economiche e sociali in cui versano, chiedono da tempo di poter ottenere una quota maggiore dalle rendite dell’estrazione di petrolio nella loro regione. Considerato il forte malcontento, quindi, la contestazione al premier era scontata e l’accoglienza non poteva essere calorosa: il mercato, le banche e i negozi della città erano chiusi per protesta e un gruppo di manifestanti ha dato fuoco ad alcuni pneumatici erigendo in strada improvvisate barricate.
Ma anche nella capitale la situazione è tesa: centinaia di persone appartenenti ad associazioni della società civile sono scese in piazze sabato per protestare contro una proposta di legge che, in cambio di una multa e della restituzione dei beni presi illecitamente, garantirebbe l’amnistia ad alcuni ufficiali dell’era Ben Ali processati per corruzione. La disposizione ha già incassato l’ok del presidente Essebsi perché “migliorerebbe il clima degli investimenti”. Di diverso avviso è la gente scesa in strada a manifestare che, prima di qualunque “riconciliazione”, chiede la condanna dei “corrotti”. Il provvedimento, accantonato lo scorso anno, era stato riproposto la scorsa settimana durante un incontro della commissione parlamentare scatenando subito le proteste di molti tunisini.
Ai problemi economici, sociali e politici si aggiungono poi quelli relativi alla sicurezza. Domenica, infatti, durante un blitz delle forze di sicurezze in una casa nella città di Sidi Bouzid (nel centro della Tunisia), un miliziano appartenente ad al-Qa’eda nel Maghreb islamico (Aqim) si è fatto esplodere, mentre un altro è stato ucciso dalle teste di cuoio tunisine. Dopo aver lodato il “coraggio” dei suoi uomini, Chahed ha detto che la “lotta al terrorismo è una priorità nazionale” perché, nonostante la la sicurezza sia “sotto controllo”, “la minaccia [terroristica] c’è sempre”. Dalla rivolta del 2011, il Paese ha subito diversi attacchi jihadisti che hanno provocato la morte di decine di uomini delle forze speciali tunisine e di 59 turisti stranieri. In Tunisia è vigore lo stato d’emergenza dal novembre 2015 quando un attacco suicida nella capitale, rivendicato dall’autoproclamato Stato Islamico, ha ucciso 12 guardie presidenziali. Nena News