Il premier israeliano ha raccolto nell’ultimo mese importanti successi diplomatici. Ma i palestinesi, sebbene siano impotenti e isolati, non rinunciano ai loro diritti e continuano a reclamarli
AGGIORNAMENTI
Il Sudan smentisce prossimo arrivo di Netanyahu
Un responsabile del partito di governo sudanese, Ncp, Abdul Sakhy Abbas, ha smentito una possibile visita in Sudan di Netanyahu. “Quello che ha riferito Radio Israele è totalmente infondato”, ha detto Sakhy Abbas. “Netanyahu non può visitare il Sudan e non si parla assolutamente di una visita del genere nei circoli formali sudanesi”.
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di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 28 novembre 2018, Nena News – «Sembra che il sogno di Netanyahu stia diventando realtà». Così si è espresso un ex diplomatico citato dal quotidiano Haaretz, a margine della conferenza MED 2018 che si è tenuta qualche giorno fa a Roma. Si è riferito al progetto di Netanyahu di tenere fuori la questione palestinese dall’agenda internazionale. Ed è difficile dargli torto se si guarda ai successi diplomatici che Israele sta ottenendo in vari paesi arabi ed africani che fino a qualche anno fa condizionavano l’avvio delle relazioni con lo Stato ebraico alla realizzazione dei diritti dei palestinesi. La svolta è apparsa evidente a MED 2018. Mohammed bin Abdulrahman al Thani, ministro degli esteri del Qatar, paese che pure è direttamente coinvolto nell’aiuto ai palestinesi a Gaza, elencando quelli che a suo avviso sono i problemi del Medio oriente, ha citato le sanzioni che l’Arabia saudita e i suoi alleati attuano da un anno e mezzo contro il suo paese, la tensione in Libano, le guerre in Siria e Yemen. Silenzio invece sui palestinesi. E non molto diverse sono state le considerazioni dell’ex segretario generale della Lega araba, Ahmed Abdul Gheit, che ai palestinesi ha dedicato solo qualche frase banale e rituale. Il presidente della Knesset, Yuli Edelstein, che pure i palestinesi li incrocia ogni giorno nelle strade di Gerusalemme, ha parlato solo delle capacità di Israele in vari campi, a partire dalla tecnologia. I media, italiani e non, hanno nascosto le dichiarazioni del ministro degli esteri dell’Anp, Riyad al Malki, che con forza ha reclamato attenzione per la questione palestinese e si è detto certo della fedeltà araba alle risoluzioni sulla Palestina.
Netanyahu non ha dubbi: la svolta in atto è marcata e permanente. Israele, lascia intendere, otterrà riconoscimenti e relazioni ad ogni livello senza dover più badare ai “fastidiosi” palestinesi che, 70 anni dopo la fondazione dello Stato ebraico e la Nakba e dopo più di 100 anni dall’inizio dell’impresa sionista nella Palestina storica, si ostinano a reclamare diritti sulla loro terra di cui ormai controllano, e solo amministrativamente, solo qualche frammento. Gli ultimi giorni in particolare sono stati un trionfo per il primo ministro israeliano. Dopo la visita a sorpresa a Gerusalemme del presidente del Ciad, Idriss Deby, Netanyahu si recherà al più presto nel paese africano per proclamare la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. «L’Africa torna in Israele, Israele torna in Africa», ha proclamato incurante delle critiche, rare in verità, alla sua predisposizione a stringere rapporti con alcuni dei capi di stato e di governo a dir poco controversi o addirittura accusati di antisemitismo, come l’ungherese Victor Orban. «L’abbraccio indecente di Netanyahu ad alcuni dei regimi meno democratici del pianeta è una macchia sul suo già sporco governo», commentava ieri l’editorialista Simon Spungin «ha accolto calorosamente il presidente ciadiano Idriss Deby, un leader che nel giorno delle elezioni del 2016 ha tagliato l’accesso a Internet e le comunicazioni mobili dei suoi cittadini e il cui paese è il penultimo nell’indice di democrazia». Al presidente ciadiano Israele fornirebbe da tempo armi e strumenti di intelligence per combattere i ribelli.
Netanyahu, dopo aver stretto la cooperazione con l’Arabia saudita, ora starebbe cercando di avviare relazioni ufficiali con il Bahrain – dove la monarchia attua una repressione feroce contro l’opposizione – pronto a seguire le orme del Sultano Qabus che a fine ottobre ha ricevuto in Oman con tutti gli onori Netanyahu e consorte. E anche con il Sudan che appena qualche anno fa era considerato tra i nemici più accaniti di Israele. Infine all’elenco dei traguardi quasi raggiunti si aggiunge la disponibilità dichiarata di Australia, Brasile e Repubblica Ceca (il presidente Zeman è in visita in Israele) a trasferire la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, come ha fatto Donald Trump.
I palestinesi criticano la svolta in corso nel mondo arabo e in Africa. Lo fanno il presidente dell’Anp Abu Mazen (atteso a dicembre a Roma) e Hamas da Gaza. Ma sono impotenti, a causa anche dell’ostilità degli Usa. Netanyahu non ha bisogno neppure dell’“Accordo del Secolo”, il piano di pace fantasma degli Stati uniti non ancora presentato e che, stando alle indiscrezioni, è nettamente favorevole a Israele. Non ha più bisogno di negoziare con i palestinesi per andare nei paesi arabi, la normalizzazione avanza comunque. Eppure, come notava a Roma l’ex diplomatico citato da Haaretz, non può cantare vittoria perché «i palestinesi non stanno andando via». E, aggiungiamo noi, non dimenticheranno i loro diritti.