Condannata a morte una cittadina saudita per l’omicidio di una lavoratrice domestica bengalese. Arrestate a Bassora quattro persone sospettate di aver ucciso attivisti e giornalisti: è la prima volta. Israele continua a impedire l’arrivo a Gaza delle fiale di vaccino Sputnik destinate al personale sanitario
Arabia Saudita
Domenica la cittadina saudita Ayesha al-Jizani è stata condannata a morte per l’omicidio di Abiron Begum, una donna bengalese, collaboratrice domestica, nel marzo 2019. Condannato a tre anni anche il marito per non aver aiutato Begum a ricevere aiuto medico. Il figlio, minorenne, sconterà sette mesi in una prigione minorile.
Begum si trovava da due anni in Arabia Saudita ma, secondo quanto denunciato dalla sua famiglia, era stata truffata da due fratelli che l’avevano convinta a lasciare la sua casa per un lavoro dignitoso e ben pagato all’estero.
In molti sono rimasti stupiti dalla pena comminata ad al-Jizani: mai la pena di morte (e nemmeno pene carcerarie pesanti) era stata ordinata per omicidio o abusi sulle lavoratrici e sui lavoratori domestici. Festeggia il governo del Bangladesh: il ministro degli Esteri Abdul Momen parla di “punizione esemplare” e chiede a Riyadh di indagare anche altri casi di violenze e torture su bengalesi che lavorano nelle case private del Golfo.
Dal 1991 circa 300mila donne sono partite dal Bangladesh per lavorare in Arabia Saudita e molte di loro al ritorno hanno raccontato la quotidianità degli abusi, la confisca dei passaporti, i salari magri o non consegnati, forma di ricatto per impedire al lavoratore di andarsene.
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Iraq
Non era mai successo: ieri a Bassora sono stati arrestati quattro uomini sospettati di aver ucciso attivisti anti-governativi, manifestanti e giornalisti. Lo ha annunciato lo stesso premier Mustafa al-Kadhimi, che una volta nominato lo scorso anno aveva promesso che avrebbe punito i responsabili delle violenze sul movimento popolare che dal primo ottobre 2019 attraversa l’Iraq.
“La squadra della morte che ha terrorizzato la nostra gente a Bassora e ucciso innocenti è ora nelle mani delle nostre eroiche forze armate e verso un processo equo – ha twittato Kadhimi – Abbiamo finalmente i killer di Jinan e Abdulsamad e poi cattureremo quelli di Reham, Hisham e gli altri”. I riferimenti sono a Jinan Madhi Al-Shahmani, paramedica uccisa nel gennaio 2020; a Ahmad Abdessamad, giornalista di Dijla Tv, ucciso dieci giorni prima insieme al suo cameraman Safaa Ghali; a Reham Yaqoub, la giovane dottoressa leader delle proteste delle donne a Bassora; e al noto ricercatore Hisham al-Hashimi.
Secondo le autorità, i quattro erano parte di un gruppo più ampio: sarebbero altri sette i ricercati. Nessuna parola però sull’eventuale appartenenza politica del gruppo armato, se legato a un partito o una milizia in particolare, accusa mossa dai manifestanti che ritengono responsabili degli omicidi mirati e delle morti in piazza le élite al potere.
In ogni caso, è la prima volta che vengono arrestati dei sospetti, frutto del lavoro del comitato speciale voluto da Kadhimi, che – come obiettivo principale – ha quello di porre sotto il controllo dello Stato le milizie armate operative nelle varie città irachene.
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Palestina
Sono ancora bloccate le duemila fiale del vaccino russo Sputnik dirette nella Striscia di Gaza e necessarie alla vaccinazione del personale sanitario dell’enclave palestinese. A impedire l’arrivo delle dosi contro il Covid-19 è Israele, responsabile in quanto potere occupante di tutto quello che entra ed esce da Gaza. Secondo il Cogat, l’ufficio che si occupa della gestione amministrativa dei Territori Occupati, lo sblocco sarà possibile solo a seguito di “una decisione politica”.
Il dibattito è aperto da giorni dentro Israele e lo spettro politico del paese: sono molti i partiti che vogliono impedire l’arrivo a Gaza del vaccino, affermando che non sarebbe diretto ai medici e gli infermieri ma ai leader di Hamas. A questo si aggiunge una petizione della famiglia di un soldato, Hadar Goldin, ucciso nella Striscia durante l’offensiva militare israeliana Margine Protettivo del 2014: i familiari hanno chiesto che la consegna dei vaccini sia scambiata con la consegna dei resti di Goldin.
La corte ha rigettato la richiesta, ma alla Knesset diversi partiti – tra cui il centrista Blu e Bianco – hanno fatto proprio l’appello chiedendo lo stesso, uno scambio che in molti hanno definito “disumano”. Immediata la reazione dell’Autorità nazionale palestinese che con la ministra della Salute Mai al-Kaila ha accusato Israele di impedire l’ingresso di un medicinale “necessario al personale medico in terapia intensiva e in pronto soccorso”.
Un caso che, di nuovo, evidenzia la disparità tra Israele e i Territori Occupati anche in materia di immunizzazione: se il primo ha già avviato da fine dicembre la campagna vaccinale, attestandosi in cima alle classifiche degli Stati più rapidi nel coprire le necessità della propria popolazione, i palestinesi hanno ricevuto pochissime (10mila di Sputnik e 5mila fiale di Moderna fornite da Israele a inizio febbraio). Per il diritto internazionale, Israele in qualità di potere occupante ha il dovere di occuparsi della sanità nel territorio occupato. Nena News