Firmata una lettera di intenti per la vendita di gas naturale del bacino israeliano del Leviatano alla Giordania. Un contratto da 15 miliardi di dollari. E ora Tel Aviv punta all’Egitto. Tutti dimenticano la Palestina.
di Chiara Cruciati
Roma, 5 settembre 2014, Nena News – Dopo la Turchia, è la Giordania a infilare le mani nel bacino di gas naturale Leviatano, lungo le coste israeliane, un giacimento da 538 miliardi di metri cubi di gas naturale. Con Ankara Israele aveva stipulato un contratto da 2,5 miliardi di dollari per la costruzione di un gasdotto lungo 470 km, che possa trasportare verso l’Europa 16 miliardi di metri cubi di gas l’anno.
Ora anche Amman approfitterà delle ricchezze sottomarine: il tandem di compagnie energetiche Nobel Energy (statunitense) e Delek Group (israeliana) hanno dato l’ok alla vendita di gas israeliano alla Giordania, un altro efficace modo per rafforzare i legami tra il governo di Tel Aviv e i vicini arabi, secondo uno schema non certo nuovo. Gli affari prima di tutto, sebbene la stessa Giordania abbia tentato di cacciare l’ambasciatore israeliano dalla capitale durante l’attacco contro Gaza.
Per ora esiste una lettera di intenti, firmata mercoledì dalle due compagnie, i principali investitori nel bacino del Leviatano, e la compagnia nazionale energetica giordana: 45 milioni di metri cubi di gas per i prossimi 15 anni. Quello con la Giordania di re Abdallah sarà il primo contratto di esportazione di gas firmato da Israele e, probabilmente, il più consistente. Per ora si attende il via libera dei due governi, che non dovrebbe mancare di arrivare. Il costo dell’operazione non è ancora stato definito, fa sapere la Noble Energy, ma dipenderà dai prezzi nel mercato Brent. Secondo fonti giordane, si tratterebbe di 15 miliardi di dollari in 15 anni.
“Questo accordo ha delle enormi implicazioni geopolitiche – ha spiegato Amir Mor, capo esecutivo di Eco Energy, società di consultazione strategica israeliana – In questi giorni, mentre l’Isis macella americani e migliaia di iracheni e siriani nella regione, questo accordo mostra che un’alleanza sta nascendo tra i paesi moderati della regione, Israele, Giordania, Egitto e Arabia Saudita”.
Di nuovo, come in passato, è il business a creare alleanze economiche e quindi politiche e a garantire a Israele un ambiente scevro di pericoli o minacce. Lo si è visto anche durante l’attacco contro Gaza, una brutale operazione che ha ucciso 2.152 palestinesi e che ha visto scendere in campo – contro la resistenza palestinese e le sue richieste – l’asse Egitto-Arabia Saudita. La Turchia (vicina ad Hamas e alla Fratellanza Musulmana), invece, durante Margine Protettivo, aveva fatto un passo indietro: “Porte chiuse” al gas israeliano, aveva detto Erdogan, finché non sarà riportata la calma nella regione.
Amman tenta di giustificare l’accordo con Israele, per bocca del ministro dell’Energia, Mohammad Hamed, che sottolinea come il contratto non sarà firmato dal regno hashemita con il governo di Tel Aviv, ma con la compagnia Usa Noble Energy: “Il governo ha permesso a tutte le compagnie giordane, pubbliche o private che siano, di importare gas da dove vogliono. Questo accordo tra la nostra compagnia energetica e la Noble Energy è parte dell’interesse del governo a affrontare le sfide di aumento dei costi dell’energia”. Certo è che l’affare è conveniente: la Giordania potrà godere di gas a basso prezzo, se paragonato a quello importato da Aqaba, che secondo calcoli governativi costa tra le tre e le sei volte di più del gas israeliano. Da parte sua Israele, non solo venderà parte della ricca riserva, ma potrà utilizzare le entrate per sviluppare al meglio il giacimento.
E dopo la Giordania, Tel Aviv punta all’altro indiretto alleato, l’Egitto del golpista al-Sisi: la Gas Group, compagnia britannica, ha firmato una lettera di intenti che prevede il rifornimento di gas dal Leviatano per 15 anni all’impianto egiziano di Idku, vicino Alessandria.
Fonti interne israeliane parlano di grande successo, l’utilizzo delle ricche risorse del paese per rafforzare i legami con i vicini arabi. Dimenticando di sottolineare – una dimenticanza che affligge anche i leader arabi – che quelle risorse appartenevano prima del 1948 alla Palestina. Nena News