Ieri sera il premier designato Fayez al-Sarraj ha presentato una nuova lista di ministri. Tra loro tre donne ma manca ancora il generale Haftar, la cui assenza aveva bloccato il primo tentativo
della redazione
Roma, 15 febbraio 2016, Nena News – Il consiglio della presidenza del governo di unità nazionale libico ha messo sul tavolo una nuova proposta di esecutivo: dopo la bocciatura del parlamento di Tobruk (sostenuto dall’Occidente) che il 25 gennaio ha negato la fiducia al governo del premier designato Fayez al-Sarraj, ci si riprova.
Il governo di unità tra i due parlamenti, Tripoli e Tobruk, nasce dall’accordo siglato a dicembre in Marocco sotto l’egida Onu. Ma quell’accordo rispecchia la stessa instabilità che soffoca la Libia dal 2011, quando la Nato lanciò un’operazione militare che destituì il colonnello Gheddafi. Il mese scorso a muovere le proteste di Tobruk era stata l’esclusione dalla lista dei ministri del generale Khalifa Haftar, punto di riferimento militare dell’Egitto e della Cia, tra i leader della rivolta anti-Gheddafi e ideatore dell’operazione “Dignità” contro gli islamisti di Tripoli. Nel marzo 2015 è stato nominato capo dell’esercito del governo di Tobruk.
Anche stavolta, però, Haftar è stato tagliato fuori. A capo dell’esercito, secondo l’articolo 8 dell’accordo marocchino, viene posto lo stesso premier al-Sarraj. Secondo la proposta mossa ieri sera e che dovrà essere votata entro la settimana, il numero di ministri dell’esecutivo di unità sono stati dimezzati: saranno 13 (tra cui tre donne) e i segretari di Stato 5. Per ora i nomi non sono stati resi noti: di certo ci sono solo Mahdi al-Barghati alla Difesa, l’unico riconfermato rispetto alla prima proposta, e l’assenza di Haftar.
Le prime reazioni sono però già arrivate: sulla pagina Facebook del Consiglio presidenziale è stato pubblicato un documento che riporta della mancata firma di due dei suoi nove membri alla proposta di esecutivo. Una proposta che traballa già seppure secondo al-Sarraj si basava su ragioni di “esperienza, competenza, distribuzione geografica, spettro politico e componenti della società libica”.
Difficile immaginare che stavolta la proposta passi, le distanze tra i due parlamenti restano ampie. Una divisione a cui si aggiungono le miriadi di poteri anti-sistemici e di autorità parallele, che avevamo analizzato in un recente articolo di Francesca La Bella.
A voler risolvere la spinosa questione del governo di unità è soprattutto l’Occidente che punta ad un esecutivo che dia il via libera ad un intervento militare internazionale nel paese. Che la guerra pesi come una spada di Damocle sulla Libia non è una novità: Londra, Parigi e Washington hanno già truppe sul terreno e Roma ha inviato i suoi caccia all’aeroporto di Trapani per monitorare la situazione. Il primo obiettivo è mettere in sicurezza i pozzi di petrolio dall’avanzata dello Stato Islamico, chiaro riferimento agli interessi energetici intorno al martoriato paese nordafricano.
Ma un’operazione militare scoperchierebbe un vaso di Pandora, già esploso: “Un secondo intervento internazionale in Libia incontrerebbe numerosi ostavoli – scrive Kamel Abdallah su Al Ahram Weekly – Primo, l’assenza di forze libiche affidabili sul terreno, mancanza dovuta al secondo ostacolo che è la difficoltà a differenziare tra moderati e estremisti. Il terzo ostacolo è la corruzione crescente del governo, che ha eroso l’efficacia dell’establishment militare e di sicurezza del paese”.
A ciò, spiega Abdallah, si aggiungono le divergenze degli alleati occidentali in merito all’operazione militare: Egitto e Algeria vogliono essere parte della soluzione, ma se Il Cairo vede l’intervento un mezzo per ritagliarsi un ruolo di primo piano, Algeri frena. Nena News
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