Il Consiglio di stato ha annullato il nuovo contratto di lavoro che avrebbe sensibilmente migliorato la difficile condizione dei domestici stranieri nel paese dei cedri
della redazione
Roma, 29 ottobre 2020, Nena News – Due centri internazionali per i diritti umani hanno duramente condannato la sentenza con cui il Consiglio di stato libanese ha annullato il nuovo contratto di lavoro che avrebbe sensibilmente migliorato la difficile condizione dei lavoratori domestici stranieri nel paese dei cedri. “Il Consiglio di Stato ha inferto un duro colpo ai diritti dei lavoratori domestici migranti sospendendo l’attuazione del nuovo contratto unificato”, ha commentato Diala Haidar di Amnesty International. Nella sua decisione, ha aggiunto Haidar, “il Consiglio non ha fatto alcun riferimento ai diritti dei lavoratori domestici in Libano… Ha solo fatto riferimento a ciò che le agenzie di reclutamento considerano un grave danno ai loro interessi”.
Il mese scorso il ministero del lavoro aveva finalmente approvato il tanto atteso nuovo contratto che conferisce ai lavoratori domestici stranieri più diritti, inclusa la libertà di dimettersi con un mese di preavviso e di mantenere i propri passaporti impedendo ai datori di lavoro di confiscarli. Contro di esso le agenzie di reclutamento dei lavoratori all’estero hanno presentato ricorso e il 14 ottobre il Consiglio di Stato ha bloccato l’entrata in vigore del nuovo contratto spiegando che avrebbe arrecato “un danno enorme al settore”.
Aya Majzoub di Human Rights Watch ha definito la decisione “molto deludente…E’ evidente che deve avvenire un profondo cambiamento culturale”. I libanesi, ha spiegato, sono abituate all’idea che i domestici stranieri non possano lasciare la loro occupazione senza il consenso del datore di lavoro, lo considerano normale”.
Al contrario è soddisfatto Ali Al-Amine, capo dell’associazione delle agenzie di reclutamento. Sostiene che l’obiettivo non sarebbe quello annullare completamente il nuovo contratto ma di emendarlo. “La nostra principale obiezione riguarda l’articolo sul meccanismo di reclutamento e la risoluzione del contratto che non c’entra con i diritti dei lavoratori…Ci deve essere equilibrio tra i diritti e i doveri di tutte le parti del contratto”.
In Libano lavorano circa 250.000 migranti, per lo più donne provenienti da Africa (in prevalenza dall’Etiopia) e Asia, che lavorano come governanti, badanti e baby sitter. Non sono protetti in alcun modo dal diritto del lavoro e sono impiegati in base a una serie di leggi, politiche e consuetudini chiamate “kafala”, un sistema diffuso nei paesi mediorientali che lega la presenza del migrante a un datore di lavoro specifico (kafeel) che controlla totalmente la loro vita, a cominciare dal rinnovo della residenza, e impedisce loro di poter cercare una nuova occupazione. Le pratiche permesse dalla “kafala” sono condannate dai gruppi per i diritti umani perché di fatto autorizzano abusi di ogni genere.
I lavoratori domestici stranieri peraltro sono tra i più colpiti dalla profonda crisi economica in cui si trova il Libano. Molti di loro ora ricevono salari non più in dollari ma in lire libanesi fortemente svalutate. Altri non hanno più ricevuto lo stipendio o sono stati abbandonati in strada dalle famiglie con cui vivevano. Le difficoltà economiche e il carovita hanno aggravato una serie di pratiche disumane che violano i diritti basilari della persona e del lavoratore.
Particolarmente penosa è la condizione delle domestiche etiopi che non riescono a rimpatriare e vivono spesso per settimane davanti all’ambasciata del loro paese in attesa di lasciare il Libano. Le autorità di Addis Abeba impongono alle lavoratrici licenziate sommariamente, di acquistare il biglietto aereo e di pagare al loro rientro in patria la permanenza di due settimane, per la quarantena imposta dalle misure contro il coronavirus, in hotel dalle tariffe insostenibili.
Le ong per i diritti umani aggiungono non poche famiglie libanesi non restituiscono il passaporto alle lavoratrici etiopi quando le abbandonano – per tutelarsi da denunce per stipendi non versati – e lo consegnano alle ambasciate solo quando sono sicure che le loro ex collaboratrici domestiche lasceranno il paese nel giro di poche ore. Nena News